La condizione critica in cui versa lo stato del partito, in presenza di una situazione economica e sociale che richiederebbe un’azione efficace, ci impone di ridefinirne i compiti, le priorità d’intervento, i criteri organizzativi. I campi di intervento del partito sono molteplici e questo rappresenta una ricchezza, ma l’iniziativa sarebbe in larga misura infruttuosa se non individuasse un asse centrale. Questo asse deve essere ricercato nella rappresentanza di quel “lavoro subordinato” che è il risultato non solo della crescente polarizzazione sociale, ma anche delle caratteristiche specifiche della ristrutturazione capitalistica in atto. La riproduzione del sistema, infatti, è sempre più legata ad una fascia centrale di lavoro, nel manifatturiero, impegnato in lavorazioni post fordiste, ad un aggregato di lavoro precario che alimenta la piccola manifattura e i servizi, a una fascia ampia di lavoro pubblico spesso dislocato in settori fondamentali come scuola e sanità, soggetto ad ampi processi di proletarizzazione e di precarizzazione, e ad una quota consistente di disoccupati spesso donne e giovani, anche ad alta scolarità. Questo blocco assume i caratteri di principale soggetto del cambiamento per la strutturalità del suo ruolo nei meccanismi di riproduzione del capitale e la sua crescente uniformizzazione.
Per quanto riguarda il mutualismo e le esperienze solidali, terreno che si è imposto anche dal crescente impoverimento registrato dalla società italiana, queste costituiscono un campo di iniziativa importante, ma considerare tale intervento come elemento centrale, ispiratore fondamentale dell’attività del partito, è disorientante. L’azione dei comunisti non può essere principalmente quella di offrire servizi in concorrenza con le organizzazioni umanitarie. Ben inteso, questo è un compito meritorio, laddove il disagio non ha trovato risposte né da soggetti sociali organizzati né dalle istituzioni pubbliche, ma non può essere messo a fondamento della attività del partito, pena il suo progressivo ridislocarsi su una prospettiva pauperista che rappresenterebbe un arretramento sul piano teorico e pratico. Va poi sottolineato che nei confronti delle fasce sociali che ricadono o si avvicinano alla soglia della povertà, oltre alla solidarietà concreta è poi imprescindibile, oltre alla loro organizzazione, un rapporto vertenziale nei confronti delle istituzioni, soprattutto quelle locali, per evitare che l’iniziativa sociale finisca col tradursi in un’azione testimoniale senza sbocco.
L’intervento del partito deve fare i conti con contraddizioni che non hanno solo una connotazione di classe e che sono in sé dirompenti, sulle quali il partito si è concentrato in questi anni – pensiamo al tema dell’ambiente e a quello della differenza di genere. Tali contraddizioni non riflettono solo bisogni fondamentali, ma tendono ad aggregare consensi più ampi. Inoltre, ed è il fatto forse più significativo, esse esprimono anche un orizzonte di cambiamento che colloca la nostra prospettiva oltre un approccio economicistico. Occorre però interrogarsi sulla connessione fra dinamiche di classe e tali contraddizioni. La soluzione fino ad ora prevalentemente praticata è stata quella della sommatoria delle contraddizioni sociali o di una loro giustapposizione, Questo approccio resta tuttavia insufficiente, se non si colgono le connessioni fra la battaglia anticapitalista e il superamento delle singole contraddizioni, diventa difficile alla fine tenere unito un fronte ampio accomunato da una visione globale del processo di cambiamento.
E’ ovvio che la difficoltà che grava sulle nostre spalle è legata all’esiguità delle forze di cui disponiamo. L’indebolimento subìto ha eroso oggi, oltre al numero dei tesserati, quel limitato patrimonio di quadri di cui disponevamo. Per ricostruire le condizioni per una presenza di massa, e’ necessario, quindi, elevare la qualità politica del nostro partito e ricostruire quel legame col sociale che si è venuto affievolendo. Per quanto riguarda il primo aspetto, occorre andare verso un partito con maggiori capacità intellettuali. Non si tratta ancora dell’”intellettuale collettivo” cui pensava Gramsci, ma certamente deve essere un partito con una capacità di comprensione e proposta dei fenomeni sociali nettamente superiore a quello di oggi. Per questo è necessario potenziare l’informazione degli iscritti e, soprattutto, la loro formazione, meglio se organizzata dal centro, per la debolezza delle nostre strutture periferiche, via reti telematiche. Ma è anche indispensabile attingere a quel “general intellect” che è mediato da ceti intellettuali e depositari di conoscenze che si trovano in modo significativo in quel blocco sociale del lavoro subordinato, prima richiamato. La costruzione di un comitato scientifico a livello nazionale che affianchi una struttura programmatica è essenziale, com’è essenziale che il lavoro d’intervento sui soggetti sociali preveda, non estemporaneamente, appositi approfondimenti seminariali.
Una delle scommesse fondamentali è, come si è detto, la riconnessione col sociale. In primo luogo, occorre una struttura articolata su dipartimenti nazionali con collaborazioni in rete, evitando il più possibile di costruire strutture artificiose. Da questo punto di vista, alcuni terreni fondamentali restano: il tema del lavoro che va declinato in senso molto ampio partendo da quel blocco del lavoro subordinato di cui si è prima fatto cenno. il tema della democrazia e dell’antifascismo che investe le tematiche costituzionali e la questione delle forme di partecipazione, il tema della scuola e della formazione che tocca il mondo degli insegnanti e degli studenti, il tema del sociale che tocca le politiche dell’inclusività e dei bisogni, il tema della sanità, dell’assistenza e della cura della persona, oggi più attuale che mai, la questione ambientale che si deve estendersi al tema della vivibilità e dell’organizzazione urbana, il tema delle istituzioni locali, che richiede competenze specifiche e che si proietta sull’obiettivo di una trasformazione dell’assetto dello stato. Come si vede, non vale più la logica di un partito strutturato secondo la riproduzione fedele di tutte le articolazioni sociali. I dipartimenti devono essere concepiti come organizzazioni più flessibili e a rete, ma anche con una capacità d’indirizzo e di elaborazione superiori.
Il partito deve prendere atto del logoramento della struttura dei circoli, molti dei quali spariti o scesi a un limite minimo d’iscritti e dell’indebolimento degli organi federali, ma sarebbe un grave errore dedurne che si debba allargare sempre di più la scala territoriale dell’organizzazione puntando su un partito ampiamente regionalizzato. Questo sarebbe l’anticamera del partito leggero che abbiamo tanto criticato nelle scelte di altre formazioni. Occorre invece ritornare ai territori con intelligenza. Il primo passo è ridefinire i presìdi a scala provinciale, snodo essenziale per ridefinire la struttura dei circoli. Ed è per questo che nel medio periodo bisogna reinsediarsi in ogni provincia, superando le realtà accorpate. Per i circoli occorre, innanzitutto, mettere ordine alla loro struttura partendo dall’idea di valorizzare l’ancoraggio dei nostri compagni a situazioni sociali date. Siano essi la partecipazione a un’attività politico culturale, a un ambito conflittuale territoriale, a un impegno specifico in alcune realtà sociali organizzate, a un intervento nelle sedi istituzionali. Per questo, accanto ai circoli territoriali che hanno un loro effettivo ancoraggio alla realtà sociale, vanno costruiti nuclei di compagni impegnati in singoli ambiti d’intervento.
Un altro importante aspetto è come si sta nella società e ci riferiamo a come ci si colloca nelle relazioni con altri soggetti, siano essi partiti o movimenti. Nei confronti dei movimenti, terreno fondamentale d’intervento, bisogna saper rispettare la disciplina di movimento, ma al tempo stesso va assolutamente evitata una pratica subordinata e codista che rinunci a portare un contributo autonomo in nome di astuzie entriste. Senza quest’atteggiamento è il senso di sé come partito che viene meno, e si alimenta la frustrazione dei compagni, che si percepiscono come “portatori d’acqua” di progetti altrui. Essenziale in questa prospettiva è poi ricostruire l’intervento dei compagni nelle grandi organizzazioni di massa. L’abbandono progressivo di quest’ambito d’intervento, consumatosi negli anni e mai organizzato seriamente, ha impedito al partito di esercitare un’adeguata influenza nella società. Vale per i sindacati, a partire dalla CGIL, per organizzazioni antifasciste come l’ANPI, per organizzazioni culturali e sociali di dimensione nazionale. Gli eventuali dissensi con le posizioni prevalenti in tali organizzazioni, non può far venire meno l’impegno per una battaglia interna, sempre nel rispetto della loro autonomia.
Un aspetto decisivo è, infine, rappresentato dalla necessità del cambiamento della vita interna del partito. Qui è in gioco la questione della democrazia. Il problema della degenerazione correntizia non si supera eliminando le componenti che riflettono sensibilità diverse, che sempre sono esistite nei partiti, ma con la partecipazione di tutte le sensibilità, a seconda del loro peso, alla direzione del partito, e del rispetto (che non significa autocensura) e dell’attuazione delle scelte espresse a maggioranza. Chi sostiene il superamento di aree e componenti in nome dell’unità non affronta spesso il nodo essenziale e cioè che senza la garanzia di un effettivo pluralismo politico interno, si aumentano, non si diminuiscono le cristallizzazioni delle posizioni. Né, infine, sarebbe accettabile alcun tentativo di sottrarre competenze alle strutture locali per riaccentrarle o avviarne una ristrutturazione senza il loro consenso. E, infine, va riformato il Collegio Nazionale di Garanzia, per il quale va previsto che il suo presidente debba essere scelto con la condivisione di tutte le sensibilità. Peraltro, a nessuno dovrebbe sfuggire che il dibattito a livello istituzionale sull’attuazione dell’articolo quarantanove della Costituzione sulla vita dei partiti, con la scelta di fissare per legge le norme sostanziali per una gestione democratica e trasparente degli stessi, riflette una domanda che viene dalla società e che non può essere elusa.
Gianluigi Pegolo
Antonio Marotta
Silvio Arcolesse
Maruzza Battaglia
Anna Belligero
Paola Bigongiari
Fulvia Bilanceri
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Silvia Di Giacomo
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