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Tesi 15 – Diritti lgbtqi. Un approccio materialista

Pubblicato in Tesi

A 52 anni dai Moti di Stonewall e dall’irruzione sulla scena politica del movimento di massa LGBTQI, sono tanti i nodi vecchi e nuovi che ci interrogano come partito comunista.
Il movimento LGBTQI è forse l’unico a vedere dei passi in avanti tangibili in termini di visibilità delle soggettività che rappresenta e in termini legislativi, in decenni caratterizzati da un forte arretramento dei diritti conquistati nel ‘900 in ogni ambito.
Quelle stesse persone che per secoli sono state trattate come malate, devianti, degenerate, quelle stesse persone che decisero, stanche dell’invisibilizzazione e della violenza istituzionale, di portare in piazza i loro corpi e le loro rivendicazioni a partire dalle rivolte, inclusa quella di Stonewall, stanno conquistando, con una cavalcata apparentemente inarrestabile, i loro diritti e la loro presa di parola a macchia di leopardo in tutto il mondo.
Si moltiplicano i paesi in cui l’omosessualità è finalmente decriminalizzata, in cui le coppie formate da persone dello stesso genere sono in varie forme riconosciute, in cui si sanziona l’omolesbobitransfobia o si vietano le terapie riparative, in cui si promuove l’autodeterminazione delle persone LGBTQI. Tutto questo, però, avviene in maniera tutt’altro che lineare. Ancora oggi 71 paesi, metà dei quali appartenenti al Commonwealth con le sue leggi coloniali, puniscono l’omosessualità (di questi, 43 hanno norme specifiche contro il lesbismo) con pene che arrivano fino all’ergastolo e, in 11 paesi, alla pena di morte. 15 paesi prevedono norme esplicitamente repressive per le persone trans, molti altri le colpiscono per vie traverse.
Il cammino è accidentato anche nelle liberaldemocrazie occidentali, attraversate dal conflitto, nonostante vogliano offrire un’immagine pacificata. Lo scenario è ben diverso da quello descritto dalla destra che parla di “dittatura del pensiero unico”. In Occidente il pensiero unico è quello della distruzione dei diritti sociali o del dominio imperialista, mentre i temi LGBTQI sono un terreno di scontro. Questo è particolarmente evidente in Italia, dove la destra reazionaria e fascistoide e la sinistra liberal non hanno esitato a scontrarsi duramente sul ddl Zan che, al momento della scrittura di questa tesi, è bloccato in commissione al Senato e rischia di essere accantonato o completamente svuotato di senso e efficacia, sacrificato sull’altare delle larghe intese. Non sarebbe un fallimento isolato: diversi tentativi (il primo, nel 1996, fu del Partito della Rifondazione Comunista) di approvare una legge contro l’omolesbobitransfobia sono andati a vuoto per le infiltrazioni clericali nelle fila del centrosinistra. La stessa legge sulle unioni civili, approvata mentre nel nord come nel sud del mondo si legiferava sul matrimonio egualitario, ha di fatto sancito la discriminazione tra famiglie (eterosessuali) di serie A e “formazioni sociali specifiche” (omosessuali) di serie B.
L’Italia, secondo l’ultimo report “Rainbow Europe 2021” dell’ILGA, ha completato solo il 22% degli obiettivi verso la piena uguaglianza e il rispetto dei diritti umani delle persone LGBTQI, con un punteggio inferiore persino a quello dell’Ungheria di Viktor Orbàn. Sulla pelle delle persone, sulla loro incolumità, sul loro diritto ad autodeterminarsi si gioca una partita istituzionale indegna.
Le partite istituzionali, però, non vengono dal nulla, sono ramificazioni di conflitti più ampi. La destra reazionaria e la sinistra liberal rappresentano, infatti, rispettivamente il capitalismo conservatore e quello neoliberista, col loro scontro a tutto campo sul modello di produzione e consumo del futuro. L’orientamento sessuale e l’identità di genere non sono fatti privati, perché non esiste capitalismo senza patriarcato, che è eteropatriarcato. Il diverso approccio ai diritti LGBTQI ha quindi un ruolo chiave nello scontro intercapitalistico e corrisponde a due diversi paradigmi. Da un lato il capitalismo conservatore basa il suo modello sulla difesa dei ruoli di genere e della famiglia tradizionale con la funzione che essi hanno avuto nel modo di produzione fordista attraverso la divisione sessuata del lavoro, tra produzione e riproduzione, dall’altro il capitalismo neoliberista vuole “femminilizzare” il lavoro di tutti e tutte, tra precarietà e globalizzazione. Se il capitalismo conservatore propone esclusione e omolesbobitransfobia, quello neoliberista propone un’inclusione che somiglia molto all’assimilazione dentro un sistema di dominio in cui l’eterosessualità è la norma e le eccezioni sono “tollerate”, stando ben attento a depotenziarle: usa la rappresentazione “rainbow” per far in modo che i processi di identificazione con una comunità si sovrappongono alla logica del mercato e delle sue nicchie, usa il diversity management per illudere che sia il capitale a salvare dalle discriminazioni i lavoratori e le lavoratrici LGBTQI, si autoassolve e si incorona come salvatore. Entrambi i paradigmi, però, hanno due cose in comune: usano l’”eccezionalismo occidentale” sui diritti civili e l’omonazionalismo per rafforzare l’imperialismo e sono consapevoli del potenziale trasformativo delle lotte LGBTQI (uno lo teme e lo contrasta, l’altro lo attenua e lo sussume).
I comunisti e le comuniste non devono esitare a leggere e sostenere quel potenziale trasformativo: il nostro partito da anni prova ad avere familiarità con il nesso tra capitalismo e patriarcato, ma fatica a riconoscere la natura intrinsecamente eterosessuale di questi due sistemi.
Dobbiamo avere, dunque, un approccio tanto autenticamente intersezionale quanto materialista. “I diritti civili devono andare di pari passo con i diritti sociali” è una formula giusta ma, se rituale, non ci aiuta a individuare l’intreccio tra oppressioni e tra strumenti di liberazione. Come diceva Audre Lorde: “Non esistono battaglie monotematiche perché non viviamo vite monotematiche”.
Sappiamo bene che un diritto civile, il diritto di sciopero, ha dato gli strumenti al movimento operaio per ribaltare i rapporti di forza e conquistare i diritti sociali. I diritti civili per le persone LGBTQI hanno un valore intrinseco, ma possono fare molto di più.
Viviamo in un paese in cui l’orario di lavoro è modellato attorno alla divisione sessuata fordista del lavoro di cura, in cui l’accesso allo stato sociale è su base familiare e così via: le persone LGBTQI, in un quadro di contrazione dei diritti per tutti e tutte, restano sempre un passo indietro.
Il matrimonio egualitario, la riforma del diritto di famiglia, una legge contro l’omolesbobitransfobia capace di fornire strumenti di autonomia e difesa attiva dalla violenza avrebbero ricadute su svariati diritti sociali. Il diritto alla salute per le persone LGBTQI avrebbe bisogno di attenzioni precise, come il divieto di terapie riparative fisiche (si pensi agli interventi chirurgici su* neonat* intresex) e psicologiche, la semplificazione della corsa a ostacoli verso la transizione dopo la depatologizzazione dell’incongruenza di genere operata dall’OMS, la formazione del personale medico, il rimborso da parte del SSN di diversi farmaci. L’elenco di diritti potrebbe essere sterminato, se adottassimo collettivamente questo approccio. I diritti civili vanno già di pari passo con i diritti sociali, in un intreccio inestricabile che sembra invisibile a chi gode pienamente dei primi.
Sosteniamo con forza le lotte LGBTQI non solo perché non sarà possibile sconfiggere il sistema capitalistico in qualsiasi sua incarnazione senza demolire le sovrastrutture su cui si regge, ma anche perché vogliamo una società basata sulla libertà e l’autodeterminazione di tutti e tutte. Lo facciamo perché siamo comunisti e comuniste, perché siamo femministe e perché siamo anche persone LGBTQI. Il nostro femminismo non è essenzialista, non nega la durissima oppressione subita dalle persone trans né la loro identità di genere, rifiuta ogni tentativo di esclusione e divisione, soprattutto quando rafforza esplicitamente il fronte reazionario usando le sue stesse argomentazioni. Libertà e autodeterminazione per tutti e tutte, perché la coperta dei diritti non è mai troppo corta.

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