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Alessio Malinconico. Sul Congresso di Rifondazione Comunista

Pubblicato in Tribuna congressuale

Car* compagn*,
Rifondazione Comunista va al Congresso dopo oltre un’anno di Pandemia ed in una situazione catastrofica per la Sinistra Radicale. Lo fa in modo apprezzabile con un documento unitario diviso per tesi e con delle tesi alternative.

Evito di fare un preambolo “di fase” perchè penso che, come sempre, il nostro documento congressuale sia estremamente puntuale su questo punto.
Infatti condivido totalmente le tesi 1, 2 e 3, e vi invito a leggerle e farle girare.

Rimango invece stupito dal fatto che nel documento congressuale (ben 62 pagine) sia completamente assente un’analisi su noi stessi, sul nostro percorso e sullo stato di salute di Rifondazione.
Il Sup (Galeano, ex Marcos) afferma che “per guardare fuori occorre guardare dentro, Le conseguenze di ciò che vedremo e di come lo vedremo, saranno una parte importante della risposta alla domanda – cosa viene dopo?”
Questa domanda, il “cosa viene dopo?”, è ancora una volta il grande assente dalla nostra discussione.
Preciso, a scanso di equivoci, che non credo affatto che tale domanda trovi risposta nelle tesi alternative, alcune delle quali ritengono la ricostruzione della storia di Rifondazione, da Chianciano in poi, come una semplice storia di scelte sbagliate del gruppo dirigente.
I compagni e le compagne che la pensano in questo modo non provano affatto a ricostruire la destrutturazione sociale del nostro partito e della sinistra radicale nel mondo esterno. Non colgono che tendiamo purtroppo ad essere percepiti, nonostante tutta la nostra buona volontà, come un elemento prevalentemente folklorico della storia politica. Più o meno come ci apparivano 10/12 anni fa formazioni tipo PMLI o i CARC.
Una ricostruzione della nostra storia come semplice successione di errori soggettivi, senza alcun riferimento ai processi storici che pesano molto, ma molto di più nelle vicende politiche (di tal natura mi pare, ad esempio, la tesi 16 alternativa, prima firma la compagna Barbarossa) ben spiega, a mio avviso, la nostra incapacità di formulare una riflessione complessa sul ruolo dei comunisti in questi ultimi 15 anni.
In altre parole, se ci limitiamo ad analizzare una situazione storica come fosse il puro risultato delle scelte di una trentina di compagni (il gruppo dirigente di ieri e di oggi), non spieghiamo le nostre difficoltà, ma costruiamo solamente un comodo alibi per ‘andare avanti’, comunque, allo stesso modo di sempre. Apriamo la via, anche se non ce ne accorgiamo, alla logica improduttiva (oltre che ingiusta) del ‘capro espiatorio’.
E, di contro, la realtà effettiva che ci concerne non la chiariamo per nulla, ma la rendiamo più opaca e incomprensibile.

“Cosa viene dopo?”, “ha senso oggi un Partito Comunista?”, “Cosa vuol dire essere oggi comunisti? Sbandierare bandiere e marcare presenza digitale?”, “Il Partito Sociale, dopo oltre dieci anni ha avuto quel ruolo strategico che speravamo?”, “I nostri circoli sono scomparsi o sono diventati associazioni, spazi allargati ecc… Cosa significa tutto ciò?”, “Abbiamo ancora un ruolo storico nella società? o siamo ormai una formazione nostalgica, al pari di altre nobilissime realtà cone Sinistra Anticapitalista, il PCI ecc…?”, “Lo strumento classico dell’agire di un comunista e cioè il Partito, ha ancora ragion d’essere? E se sì, in che misura?”
Queste, alcune delle domande con cui mi sono apprestato a leggere il documento congressuale.
Mi spiace dirlo, ma non ho trovato nessuna risposta, a stento qualche accenno generico.
La scorsa settimana nella sede di via Genova a Napoli abbiamo incontrato Aleida Guevara: un incontro commovente, ma anche molto denso di significato. Aleida ci ha spronato a metterci a disposizione dei percorsi del “fare volontario”, a sostenere le realtà di base che si organizzano (ne ha citata una come esempio con cui, almeno a Napoli, abbiamo serie difficoltà anche emotive), a smettere di “dire le cose giuste” ma a partecipare a percorsi che provino a “costruire realmente la società di cui parliamo”.
E’ un lavoro totalmente diverso da ciò che facciamo normalmente. E aggiungo che non è un lavoro che si può fare con la bandiera di Rifondazione Comunista in mano.

Mi spiego meglio.
Da circa dieci anni scriviamo che l’azione mutualistica rappresenta la messa in pratica di ciò che pensiamo con la costruzione di presidi di resistenza e la riorganizzazione dei soggetti reali.
Io, che in questa tipologia di costruzione ho investito appunto gli ultimi 12 anni di vita, sono perfettamente d’accordo con questa premessa. Ma purtroppo nella nostra narrazione sul mutualismo (al pari della narrazione che ne fa PAP) dimentichiamo di dire che questi percorsi, cui contribuiamo, assumono ben presto un’identità propria, che spesso va in direzioni diverse, sul piano operativo, da quello che vorremmo. E ciò avviene perché tali percorsi non sono affatto, non possono essere, “l’immagine locale del partito centrale” (questo ovviamente vale per i percorsi mutualistici che hanno un reale impatto sul territorio; quelli che esistono solo nella narrazione social non li considero in questo discorso).

Preciso questo punto con due esempi:

  • L’associazione YaBasta! ( www.yabasta.net), di cui faccio parte, mette in pratica moltissimi temi e contenuti condivisi, e finanche elaborati nel tempo, dal PRC. Ma sarebbe sciocco pensare che essa rappresenti il partito della Rifondazione Comunista sul territorio dell’Area Nolana.
    Ciò rende l’impegno mio e di altri compagni all’interno di questa realtà un errore? Per niente! perchè all’intenro di questa realtà si agisce da comunisti in un modo nuovo, che forse non ha più niente dell’iconografia comunista ma ne sposa sempre più le spinte rivoluzionarie ed i valori fondativi;
  • L’impegno sul carcere dei compagni dell’Ex Opg è sacrosanto ed impeccabile, ma naturalmente non è un impegno che vede solo loro protagonisti. Il loro principale compagno di viaggio in questa esperienza, il mitico Don Franco, che per tante e tanti di noi è punto di riferimento, alle prossime comunali di Napoli sosterrà Bassolino. Ciò rende il loro impegno meno importante? Tutt’altro. È un impegno che incide realmente sulla vita dei soggetti reali, è impegno complesso che non può essere narrato se non alludendo ad una modalità nuova di agire socialmente e politicamente.

In conclusione, dopo dieci, dodici anni mi sarei aspettato una discussione sul Partito sociale di bilancio reale; che alludesse alla trasformazione della prospettiva e di noi stessi.
Non volevo il solito spot che serve a dare risposte consolatorie alla mancanza di azione politica.
Perciò la delusione per questo documento congressuale è grande, e penso sia l’ennesima occasione sprecata che ci impedisce di fare una discussione reale su noi stessi, sul nostro ruolo storico.
Continuare a camminare quando la direzione che riusciamo a vedere è talmente indefinita da coincidere con l’orizzonte, a me pare un errore piuttosto grave.
Forse occorrerebbe fermarsi e riflettere sulla destinazione e sul perchè ci siamo messi in viaggio.
Il partito diceva Marx è uno strumento per un fine superiore. Se oggi il nostro fine coincide con lo strumento, allora vuol dire che forse siamo davvero fuori strada.

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