La tendenza generale – già preconizzata da Marx – alla crescente centralizzazione dei capitali si accompagna a una crescente disparità fra i redditi da capitale e i redditi da lavoro. Questa tendenza va intrecciata con i seguenti processi che connotano la fase di ristrutturazione del sistema: la crisi della piccola e media impresa; la crescita abnorme della composizione organica del capitale con la riduzione dell’utilizzo della forza lavoro e la differenziazione dei profili professionali; la modifica del mercato del lavoro su scala globale, per effetto dei processi di delocalizzazione; la tendenza parassitaria del grande capitale che limita l’espansione della base produttiva; il peso declinante, nei paesi capitalisticamente più avanzati, dello stato sociale, a seguito del venir meno del compromesso keynesiano. E’ sulla base di queste tendenze generali che si deve identificare il nostro blocco sociale di riferimento. L’operazione non è facile perché le connotazioni di classe si sono venute affievolendo, perché vanno scomponendosi e ricomponendosi i soggetti sociali, perché i livelli di coscienza soggettiva sono mutati per la deriva politica manifestatasi a sinistra e per l’egemonia liberista che pervade il corpo sociale. E pur tuttavia, il dato nuovo è rappresentato dal delinearsi di un ampio schieramento di “lavoro subordinato”, in cui viene parzialmente superata la distinzione fra lavoro pubblico e lavoro privato, fra lavoro dipendente e indipendente (si pensi alla condizione subalterna i molti lavoratori autonomi), fra mansioni manuali e intellettuali. Questo aggregato tende poi a uniformarsi a più livelli.
Da un lato, esso è al centro dei fenomeni di valorizzazione del capitale e dei suoi meccanismi di riproduzione e ciò anche in virtù del suo rapporto con il general intellect, e cioè con il sapere sociale accumulato. il crescente contenuto delle mansioni tende a rendere più uniformi questa fascia sociale, la cui soggettivazione politica è resa più facile dal superiore contenuto professionale a fronte di compensi e riconoscimenti sociali ridotti. Si pensi ai giovani che vivono la contraddizione fra le loro potenzialità professionali e l’emarginazione che subiscono, a tanti operatori pubblici, umiliati in una condizione di non riconoscimento delle loro professionalità, al lavoro operaio, sempre più coinvolto nella gestione di processi complessi, senza un corrispondente elevamento di reddito o per converso allontanato dalle possibilità di crescita professionale. D’altro lato, i soggetti più deboli del lavoro subordinato tendono a concentrarsi nelle mansioni meno professionalizzate. Nei settori meno strutturati, si pensi all’agricoltura, a una parte rilevante dell’edilizia, si pensi alle lavorazioni esternalizzate, a nuove mansioni del terziario, questa fascia è caratterizzata da una condizione di reddito basso, minor sindacalizzazione e spesso minor conflittualità. Vi si trova qui anche una parte dei lavoratori immigrati.
In fondo, si colloca quello che tradizionalmente viene chiamato esercito industriale di riserva, e cioè il non lavoro, nel quale confluisce una quota rilevante del lavoro femminile e giovanile, dell’immigrazione e degli espulsi dai cicli produttivi. Ora, è del tutto evidente che le differenze fra le sezioni del mercato del lavoro sono molto meno rigide di un tempo. Per esempio, il livello di scolarità non coincide con le diverse posizioni sociali, esistendo una parte rilevante delle disoccupazione e del lavoro precario o poco qualificato in cui confluiscono giovani con buoni livelli di istruzione. Non solo, ma il confine fra il settore debole del lavoro subordinato e la fascia dell’esercito industriale di riserva è labile. Quest’ultima fascia, nella quale confluiscono quote di immigrazione non assorbita nelle attività produttive, è la più esposta socialmente, bersaglio principale dei processi di impoverimento che però si estendono anche alle fasce deboli del mercato del lavoro.
1) Centrale in una strategia di cambiamento è far leva sul settore più centrale e più consapevole per riunificare e compattare tutto il lavoro subordinato. A tal fine è essenziale un mutamento della strategia delle grandi organizzazioni sindacali, a partire dalla CGIl. Una collocazione di benevolenza nei confronti del nuovo governo, unito a un atteggiamento estremamente prudente sulle scelte compiute, non ha giovato fino ad ora alla mobilitazione del lavoro subordinato. Permangono sul terreno questioni delicatissime, a partire dai licenziamenti che si vorrebbero sbloccare da parte del governo, agli allentamenti delle norme che regolano gli appalti, alla disparità crescente dei redditi, alla condizione sempre più critica di una parte del paese, il Mezzogiorno. Per questo occorre il rilancio della lotta a partire dalla condizione del lavoro (la questione del riadeguamento salariale, il controllo sull’organizzazione del lavoro, fino all’intervento sul processo decisionale (come nel caso delle delocalizzazioni o degli investimenti tecnologici). Questioni che si estendono anche al lavoro subordinato pubblico, si pensi ai decennali blocchi dei contratti nel pubblico impiego. Senza una ripresa della lotta sulle condizioni di lavoro difficilmente si può reggere una proposta più generale.
2) Il secondo terreno è quello di una lotta più ampia intorno a obiettivi generali, quali il lavoro e il reddito, elementi fondamentali per riunificare il mondo del lavoro ed elevare la condizione sociale. Un “piano per il lavoro” è la risposta naturale in una fase in cui la disoccupazione impone un intervento rapido per la sua riduzione, così come nel caso del lavoro precario. E’ del tutto ovvio che un piano del lavoro richieda un confronto con il governo sull’uso delle risorse del PNRR. Il tema del lavoro però implica anche un intervento sulle imprese. Alla luce delle disparità crescenti fra capitali e redditi e alla natura della disoccupazione, la redistribuzione del lavoro, attraverso la “riduzione dell’orario di lavoro”, a parità di salario, costituisce un obiettivo essenziale. Il sostegno al reddito in una fase in cui la disoccupazione permane così alta è necessario. Il salario sociale costituisce una proposta di buon senso, ma essa deve essere concepita come un meccanismo di garanzia del reddito, evitando che permangano situazioni di bisogno e povertà, e non può far venire meno l’obiettivo centrale della distribuzione del lavoro. Tutto ciò implica necessariamente una riforma fiscale coraggiosa con una forte progressività nella modulazione delle aliquote IRPEF, nella tassazione dei patrimoni e delle tasse di successione.
3) Il terzo ambito di intervento è quello della riforma e del rilancio dello stato sociale, come elemento essenziale per ricostruire la solidarietà sociale e rispondere ai nuovi bisogni Qui il terreno è vastissimo e tocca settori sempre più strategici, come la scuola e la sanità. Non si tratta solo di deprecarizzare scuola e sanità, ma anche di promuoverne l’orizzontalizzazione, l’estensione, la crescita qualitativa dell’offerta dei servizi e l’innovazione, ma occorre anche un processo di riforma che ne ridefinisca il ruolo. L’intervento sullo stato sociale, assume anche un ruolo importante nel sostegno più ampio ai bisogni sociali e costituisce un elemento fondamentale nel sostegno del reddito. Le problematiche sono amplissime: dal diritto all’abitazione, all’accesso a tariffe sostenibili a molti servizi, al sostegno all’alimentazione e alle spese familiari. Gli interventi di tipo solidale e mutualistico – pur in sé preziose – non possono diventare un alibi per il disimpegno delle istituzioni.
Questi obiettivi generali richiedono, però, non solo la creazione di un movimento di massa, ma anche un mutamento del ruolo dello stato. Ed è qui che entra in gioco la necessità di una gestione programmata e pianificata dell’economia e dell’intervento sociale. E’ un paradosso, ma il rinascente keynesismo che si coglie nella politica economica e non solo in Italia, sempre di più si caratterizza per il sostegno al capitale o per interventi infrastrutturali funzionali alla sua riproduzione ed espansione. Un’opposizione di massa deve travalicare i confini del keynesismo, ponendo in capo allo stato la responsabilità di guidare la ripresa e il rinnovamento sociale con un intervento diretto, attraverso il ricorso alla programmazione e alla pianificazione.
Se il terreno del lavoro e del reddito costituiscono ambiti essenziali di intervento politico per consolidare il blocco sociale della trasformazione, tuttavia tale blocco è percorso anche da contraddizioni trasversali. Alcune di queste sono centrali per la nostra iniziativa. Si pensi alla contraddizione di genere e a quella ambientale. Tali contraddizioni stanno assumendo una valenza straordinaria, anche perché pongono il tema di un cambiamento globale dell’organizzazione sociale, dei ruoli, dei modi di consumo e di riproduzione. Su questi terreni il nostro partito è sempre intervenuto. Si tratta ora di fare un passo avanti per esplorare e rendere visibili le connessioni che collegano tali contraddizioni con i processi di sviluppo capitalistico.
Nel caso dell’intervento sull’ambiente, è evidente che i maggiori danni all’ambiente derivano direttamente dai meccanismi di accumulazione e di riproduzione del sistema. Ne sono un esempio lo sfruttamento delle risorse energetiche, il modello di mobilità assunto, ecc. Sul piano della differenza di genere queste connessioni esistono, ma sono meno lineari perché la struttura patriarcale connota la storia di lungo periodo dell’umanità. E’ certo, tuttavia, che i processi prima descritti, che discendono dalle logiche di sviluppo del capitale, anziché superare le discriminazioni nei confronti delle donne le accentuano, in virtù non solo della loro crescente emarginazione dal lavoro, ma anche della riduzione dei servizi che dovrebbero essere garantiti dallo stato sociale, favorendo un ritorno a ruoli di cura nell’ambito della famiglia. La liberazione della donna ha quindi più di una ragione per accompagnarsi a un superamento del sistema capitalistico.
Gianluigi Pegolo
Antonio Marotta
Silvio Arcolesse
Maruzza Battaglia
Anna Belligero
Paola Bigongiari
Fulvia Bilanceri
Rosalia Billero
Raffaella Calvo
Annarita Coppa
Stefano Cristofori
Silvia Di Giacomo
Barbara Evola
Veruschka Fedi
Federica Fuoco
Alessandro Favilli
Frank Ferlisi
Dino Greco
Sabrina Lazzerini
Andrea Malpezzi
Monica Nardi
Giancarlo Onor
Marco Ravera
Francesco Renda
Ermanno Savorelli
Rita Scapinelli
Pino Scarpelli
Antonello Soccio
Renzo Stilla
Raffaele Tecce
Mirna Testi