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Tesi 9 – La nostra alternativa per un programma di fase

Pubblicato in Tesi

Le classi dirigenti stanno mettendo in atto un progetto di ristrutturazione del sistema capitalista, per affrontare le contraddizioni già emerse dal 2008 ed esaltate dalla pandemia.
Tale disegno, sostenuto dai soldi del recovery plan, indirizzato, direttamente o indirettamente alle imprese, può contare sull’omologazione di tutte le forze presenti in Parlamento, comprese quelle fuori dal governo Draghi, che non avanzano proposte alternative alle politiche decise in ambito europeo.
Rifondazione Comunista ritiene, al contrario, che di fronte al carattere distruttivo, assunto dal capitalismo, sia necessaria un’alternativa e che le contraddizioni evidenziate dalla pandemia costituiscano il terreno su cui costruire un movimento di massa, finalizzato alla riconversione ambientale e sociale dell’economia, all’eguaglianza, all’affermazione dei diritti universali. Un’alternativa che metta al centro la soddisfazione dei bisogni fondamentali dell’umanità e non il profitto, in una situazione in cui gli enormi finanziamenti stanziati, per salvare le imprese, rivelano grande disponibilità di denaro: i soldi ci sono e devono essere utilizzati per il bene comune!
a) Il pubblico va rilanciato, a partire dal ruolo della Repubblica nella programmazione dell’economia, per assumere la gestione diretta di settori strategici oggi privatizzati. In tale contesto, fondamentale è una forte e rinnovata presenza pubblica nel sistema bancario, assicurativo e finanziario. Ciò può avvenire attraverso una radicale trasformazione delle prassi operative e della missione di tutte le attuali partecipazioni pubbliche (Poste, CDP, Mediocredito, Invitalia), la cui attività deve essere coordinata da un’unica strategia, antitetica a quella basata sul profitto. Ciò significa superare l’attuale situazione, che da un lato le rende indistinguibili dal privato nello stile manageriale, nelle relazioni con la clientela/utenza, nei rapporti con le lavoratrici e i lavoratori, dall’altro assegna loro un ruolo subordinato agli interessi del grande capitale.
Debbono essere realizzati Piani di settore nazionali, caratterizzati dalla sostenibilità ambientale, per energia, mobilità, infrastrutture, riassetto idrogeologico.
Anche la Ricerca deve essere a guida pubblica, sia quella applicata alle sfide della riconversione ecologica dell’economia, sia quella di base, che oltre a soddisfare il libero sviluppo delle conoscenze, è propedeutica alla ricerca applicata.
Un nuovo pubblico per garantire tutti gli aspetti della riproduzione sociale, deve disporre delle risorse necessarie per essere ricostruito quantitativamente e qualitativamente. Sono necessarie assunzioni di centinaia di migliaia di lavoratori e lavoratrici in tutti i settori, attraverso meccanismi trasparenti. Vanno introdotte forme di partecipazione delle lavoratrici e dei lavoratori e di controllo sociale, anche per contrastare con forza il progetto di integrazione pubblico/privato su cui sta lavorando l’attuale governo.
Tutto il sistema di istruzione è stato pesantemente colpito dalla pandemia, stanti le condizioni di fragilità dovute ai tagli dei governi di centrodestra e centrosinistra. A questo ha cercato di rispondere un nuovo movimento di genitori, insegnanti, studenti, con richieste sostanzialmente in linea con quelle da noi avanzate fin dall’aprile 2020. Il segno più preoccupante di tale fragilità è la dispersione scolastica, in crescita già dal 2017, soprattutto nel meridione, ma sicuramente incrementata dalla didattica a distanza e la perdita del rapporto diretto tra scuola e studenti. L’abbandono scolastico è da combattere prioritariamente con l’elevamento dell’obbligo scolastico e l’accesso gratuito all’istruzione, dagli asili nido all’Università, la quale necessita di un’equa distribuzione delle risorse, contro la logica che premia le sedi che seguono le logiche di mercato. E’ tempo di abolire il numero chiuso e la creazione di un forte organismo nazionale di indirizzo e controllo, eletto con modalità democratiche dall’intero mondo universitario.
La sanità, che continua a subire l’aggressione del mercato nonostante la pandemia, va rilanciata a partire dall’internalizzazione dei servizi consegnati al mercato, in vari modi, sia attraverso convenzioni con strutture private, sia appaltando servizi socio-sanitari a Cooperative Sociali , le cui centrali costituiscono da tempo potenti lobbies fondate sullo sfruttamento delle socie e dei soci lavoratori che lavorano con salari e condizioni inferiori a quelle previste dai CCNL pubblici, ridisegnando il sistema della medicina territoriale e della prevenzione e dotandoli di comitati di partecipazione e indirizzo. Va ricostruita l’integrazione tra servizi sanitari e socio-assistenziali, separati nel passaggio dalle USSL alle ASL, con un processo di aziendalizzazione, che ha ridotto l’assistenza domiciliare ai minimi termini, scaricandone il peso sulle famiglie. E’ necessario scardinare il “welfare familistico”, subordinato alla regolazione dei rapporti di genere e alle leggi di mercato, per riaffermare un sistema a carattere universalistico.
Crisi economica e pandemia, hanno gettato nella povertà assoluta più di 7,5 ml di persone, alle quali lo Stato deve garantire un sostegno con un reddito di base e servizi gratuiti. Anche il welfare sociale è pesantemente sotto attacco da anni. I passaggi da “Welfare State” a “Welfare Mix” a “secondo Welfare” decisi a livello europeo, hanno portato a un sistema di “Mutualismo di Mercato”. Dobbiamo lavorare per garantire un sistema pubblico di servizi per gli anziani, per le persone disabili, per tutte le fragilità sociali e agire per il ripristino dei consultori e dei centri antiviolenza, i servizi per l’infanzia e la sua tutela.
Il pubblico deve assicurare il diritto all’abitare, sia utilizzando il grande patrimonio sfitto esistente, sia rilanciando l’Edilizia Residenziale Pubblica a consumo zero di suolo, con la riconversione ad alloggi popolari del patrimonio pubblico (a qualunque titolo), unitamente a un nuovo assetto delle città compatibile con la sostenibilità ambientale e fuori dalle logiche speculative.
A dieci anni dal referendum sull’acqua, va sottolineato il carattere emblematico di quella vittoria, ma anche che non ha dato luogo a una vera gestione pubblica e rischia di essere totalmente vanificata dall’invasione delle società a struttura privatistica da parte delle multinazionali del settore. L’azione per ricostruire alleanze e movimenti di lotta, che riportino l’acqua alla sua natura di bene comune, è preminente nel nostro progetto politico.
b) La trasformazione del lavoro produttivo e riproduttivo, svalorizzato in tutte le sue dimensioni – salariato, apparentemente autonomo, di cura – con l’intensificazione dello sfruttamento e dell’alienazione, è al centro della costruzione dell’alternativa.
Il dramma delle morti sul lavoro, che segnala quest’intensificazione, richiede l’assunzione urgente di migliaia di ispettori, per i controlli sulla sicurezza, praticamente scomparsi a seguito anche qui dei tagli sul settore.
La riduzione del tempo di lavoro, rispetto all’orario settimanale e all’età del pensionamento, è uno dei nostri obiettivi storici giunto a maturazione per il livello di produttività raggiunto e più che mai legato all’occupazione, per la quale oltre a un piano specifico nazionale occorre un’articolazione di obiettivi a livello settoriale e territoriale, a partire dalle stabilizzazioni di tutte le diffuse forme di precariato. Il confronto con le nuove modalità di sfruttamento, dal lavoro in remoto a quello sempre più diffuso nella logistica, richiede un’urgente attività d’inchiesta, che deve tornare ad essere un impegno di tutti i settori del partito, per rendere più puntuali ed efficaci i nostri obiettivi.
Il recupero e l’ampliamento dei diritti sul lavoro – a prescindere dalla forma giuridica in cui viene prestato – vanno tenuti insieme per la tenuta democratica, sempre più minacciata dall’espropriazione dei livelli decisionali partecipati a favore di entità private. Per questo va utilizzato a pieno il valore dei diritti universali sanciti dalla Costituzione del 1948, anche contro l’autonomia regionale differenziata e per la ricostituzione dei principi di unità e uguaglianza tra i diversi territori.
E’ anzi necessario un intervento dello Stato per superare la sperequazione economica fra aree forti e quelle marginali, in particolare nel Mezzogiorno, non solo nella dotazione infrastrutturale materiale ed immateriale e nella regolamentazione dell’attività economica, ma anche con la costituzione di imprese pubbliche per la produzione di beni e servizi o con l’acquisizione di siti industriali non più produttivi da rigenerare. Tale intervento diviene, inoltre, essenziale per poter incidere nel rapporto tra mafie, economia e contesto sociale, smantellando il sistema relazionale transclassista, costituito da soggetti illegali e legali, la cosiddetta “borghesia mafiosa”.
c) La lettura intersezionale di condizioni di discriminazione, marginalizzazione, oppressione culturale e sociale di classi lavoratrici, donne, comunità lgbtqi, migranti, richiede politiche che non si limitino a contrastare questi fenomeni separatamente, ma puntino a riconnetterne i legami in un progetto di trasformazione.
Anche per questi obiettivi è necessario un partito che sia “sociale”, in grado di ricostruire senso comune, capace di aiutare a ritrovare identità nell’individuazione del nemico comune.
A fronte del feroce attacco alle condizioni di vita e di lavoro, è centrale l’obiettivo della gestione pubblica per garantire i diritti esigibili previsti dalla nostra Costituzione, ma tale pesantissimo attacco crea bisogni emergenti e drammatici a cui bisogna far fronte. Per questo è necessario passare da una difesa “elementare” individuale o di piccolo gruppo ad una difesa di livello “sociale organizzato”. Oggi in Italia ci sono esperienze, lotte, pratiche sociali, spesso isolate, emergenziali, autoreferenziali che devono essere unite, integrate. Dobbiamo creare una difesa il più possibile complessiva ed organica come elemento di ricomposizione della classe proletaria. Possiamo chiamarla “Confederalità Sociale”. Abbiamo quindi bisogno di contrastare l’attuale sistema di “Mutualismo di Mercato”, cioè la sempre più ampia privatizzazione di settori pubblici palesata con la riforma del “Terzo Settore”, con un “Mutualismo Vertenziale/Conflittuale” per dare risposte ai tanti e drammatici bisogni sociali e materiali. Un mutualismo che, attraverso l’autorganizzazione e l’autoproduzione, alimenta la presa di coscienza attraverso l’esercizio della vertenzialità per la costruzione dell’alternativa.
Aiutano, nella ricomposizione sociale, vertenze territoriali come quella esemplare e di forte valore simbolico dei “No Tav” e delle molteplici questioni ecologiche, sulle quali è possibile inserire obiettivi di riconversione produttiva, di una nuova relazione con l’ambiente e il clima.
A dieci anni dal referendum sull’acqua, quella vittoria non solo non ha dato luogo ad una gestione pubblica, ma rischia di essere vanificata per l’invasione delle società a struttura privatistica da parte delle multinazionali del settore. E’ nostro impegno prioritario costruire su questo terreno alleanze e movimenti che riportino l’acqua alla sua natura di bene comune.
d) Il governo Draghi ha portato all’esasperazione l’evidenza di un appiattimento sociale, politico e culturale su un pensiero unico dominante. Se l’espressione e la circolazione delle idee sono il fondamento d’ogni conoscenza e coscienza critica della realtà e se è vero che l’immensa proposta culturale e mediatica, oggi vincente, favorisce un senso comune fatto di adeguamento all’esistente e di sostanziale passività, noi dobbiamo riaffermare con forza che la cultura è un diritto, un “servizio essenziale” non monetizzabile, che, come dice la Costituzione, solo la Repubblica può garantire per il “pieno sviluppo della persona umana”. Un nuovo immaginario e una informazione diversa e plurale non nasceranno da soli o per volontà di qualcuno. L’intervento dello Stato nella cultura e negli apparati di produzione di senso è fondamentale per garantire la possibilità di “tanti immaginari”, di tante culture diverse, dei tanti punti di vista, sottraendoli alla logica del profitto. Serve una profonda e radicale riforma del servizio pubblico radiotelevisivo, che riporti la più grande azienda pubblica produttrice di senso fuori dal controllo del governo, liberandola anche “dalla subordinazione ai dettami del mercato”. Una azienda democratizzata e gestita dalle forze sociali, professionali e culturali, decentrata e partecipata, radicata sui territori, che possa diventare volano di tutta l’industria culturale del paese. Va rimesso al centro il ruolo dello Stato per favorire la ricerca e la sperimentazione, la possibilità di una produzione culturale indipendente e plurale, liberata dalle logiche di mercato. Servono riforme strutturali per un ruolo dello Stato che riaffermi l’utile culturale e dunque sociale della produzione artistica, a prescindere dall’utile economico. L’intervento pubblico deve sostenere un’editoria indipendente, giornali cooperativi, di partito, riviste culturali e dell’associazionismo, per permettere un reale pluralismo.

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