Perché siamo comuniste e comunisti, lottiamo per l’alternativa di sistema. La Costituzione, infatti, rappresenta uno strumento di potenziale transizione, ovviamente non priva di rotture, per un’uscita dalle politiche liberiste. Crediamo nel “diritto diseguale” di Marx. Nella “Questione ebraica”, Marx denunciava il tentativo borghese di creare un’uguaglianza astratta, rimuovendo la disuguaglianza sociale. Perciò pensiamo che il fondamento della legalità costituzionale sia nel secondo comma dell’art. 3 della Costituzione: “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Non crediamo ad una democrazia formale: la democrazia deve aggredire le disuguaglianze economiche, altrimenti è pura finzione. Se il secondo comma dell’articolo 3 della Costituzione afferma il carattere sostanziale, cioè sociale e non soltanto formale, della democrazia, ricordiamo il titolo III, e in esso gli articoli 41, 42 e 43, ove sono posti limiti fondamentali all’esercizio dell’attività economica privata, sino a prevederne l’esproprio e la consegna allo Stato o a comunità di lavoratori o di cittadini. Non meno importante è la sottolineatura che “la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”. L’elemento della programmazione e del ruolo della mano pubblica è qui ben altra cosa dal primato della “mano invisibile” del mercato, regolatore di tutti i rapporti sociali.
La libertà politica è forte quando è forte il conflitto sociale. La sfida democratica sarà, nei prossimi anni, oligarchia contro partecipazione di massa, autorganizzazione, autogoverno. Sarà affermazione, anche nella struttura istituzionale, del pensiero unico del mercato e delle compatibilità dei processi di valorizzazione del capitale contro la nostra concezione di esigibilità dei diritti sociali, come paradigma non comprimibile e non alienabile (dal diritto al lavoro, al reddito, all’abitare, alla sanità, alla formazione).
Il neoliberismo accresce il populismo penale. Si sta rafforzando una vera e propria architettura globale di sorveglianza. Scrive giustamente Shoshana Zuboff: “stiamo pagando per farci dominare. Va detto basta!”. Non a caso cresce una miriade di imprese specializzate nel mercato del “controllo securitario”: riconoscimento facciale, sorveglianza biometrica, ecc. Perché “siamo in guerra”, dicono i governanti con una colossale mistificazione. La realtà è che la società securitaria prospera nel contesto della pandemia. La pandemia diventa il “nemico invisibile”: attraverso questo passaggio di senso comune, lo “Stato di eccezione” rischia di diventare norma. Il nostro avversario principale è il “populismo tecnocratico”, di cui il “governo dei migliori” è emblema. Il “bonapartismo” dell’uomo che incarna la moneta, solo al comando, non contrasta affatto il populismo nazionalista, anzi alimenta sommosse vandeane. Il nostro antifascismo è alternativo alla confusa sommatoria senza principi e valori del sistema dei partiti di Stato, al nuovo arco istituzionale (incostituzionale) costruito intorno ai processi di accumulazione del capitale. Esso, infatti, cova nelle viscere dello sfruttamento, del patriarcato, dell’aggressione all’ecosistema, nel sovversivismo fascista. Espelle dalla scena pubblica, emargina il conflitto agito da movimenti sociali antiliberisti e anticapitalisti; non tollera dissenso, opposizione radicale, pensieri alternativi. Si indebolisce ed evapora lo Stato sociale, spesso sostituito dallo Stato penale. Questo accentramento ordoliberista del dominio del capitale convive (anzi è complementare) con l’articolazione territoriale, periferica, nella quale si consolidano aggregazioni integrate di interessi, che non configurano affatto “democrazia di prossimità”, ma potentati predatori locali. Da questa dialettica distorta tra bonapartismo centrale e potentati locali può crescere, nel senso comune, l’idea della necessità del presidenzialismo come unico strumento per tenere unito, con strutture e piglio autoritari, un paese frantumato, spaesato, frastornato. E’ l’altra faccia della crisi della democrazia costituzionale, che si intreccia con il venir meno dei canali della rappresentanza (dai partiti, ai sindacati, ai corpi intermedi); con l’adozione di sistemi elettorali maggioritari, vere e proprie “leggi truffa”, che cancellano la presenza istituzionale delle minoranze critiche; con un sistema mediatico ridotto a segmento organico alle strutture padronali; con il trasferimento del potere decisionale reale al di fuori del Parlamento e delle assemblee consiliari.
La legge costituzionale sulla riduzione lineare del numero dei parlamentari è frutto di mera demagogia populista volgare. Anche il ruolo e la funzione degli enti locali e territoriali sono indeboliti dalla riduzione del numero dei componenti delle assemblee consiliari (una vera e propria “riduzione di democrazia”), dalle giunte regionali e comunali diventate “squadre” al servizio di presidenti e sindaci, da sistemi elettorali non proporzionali, che non permettono l’accesso delle minoranze critiche. Basti pensare al sistema elettorale regionale, ultramaggioritario ed ultrapresidenzialista. Così come occorre intervenire sull’obbrobrio istituzionale della “legge Del Rio”, ritornando all’elezione diretta di province e città metropolitane. All’indebolimento delle assemblee elettive, corrisponde l’abnorme proliferare di comitati tecnici, agenzie, commissariamenti, rapporti decisionali tra esecutivi, scavalcando i controlli parlamentari ed aggirando i controlli popolari. Il nostro giudizio è netto: la “postdemocrazia” sta soppiantando , con la svolta autoritaria, lo Stato di diritto. Ci poniamo, tra gli altri, alcuni compiti immediati:
1) Innanzitutto, battersi per l’approvazione di una legge proporzionale senza soglia di sbarramento. Costruiremo, insieme ad ampi settori democratici, una “lega per il proporzionale”, che affianchi i Comitati per la Difesa della Costituzione e l’Associazione dei Giuristi Democratici.
2) Il ripristino del testo originale della Costituzione, nelle parti essenziali. Due innanzitutto: il ripristino del testo originale dell’art. 81 (sfregiato dall’introduzione del cosiddetto “pareggio di bilancio”) e la lotta decisiva contro la cosiddetta “autonomia differenziata”. Essa è, infatti, malvagia derivazione del pessimo nuovo Titolo Quinto della Costituzione, voluto dalle destre secessioniste e dal centrosinistra, che ci ha visto fieri oppositori sin dal primo voto parlamentare. La nostra è una battaglia non accentratrice, di opposizione alle autonomie locali, ma di ripristino dello spirito e della lettera dell’articolo 5 della Costituzione: “la Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali…”; non quindi la secessione e la creazione di tanti piccoli staterelli regionali guidati da “cacicchi” locali. Sarebbe una vera e propria “secessione dei ricchi”, come ha argomentato l’economista Viesti. Il nostro impegno quotidiano all’interno dei Comitati contro l’Autonomia Differenziata proseguirà con passione e forza di argomentazioni. Anche perché è evidente la volontà delle destre e di parte del centrosinistra di aprire la strada al presidenzialismo, adducendo che è l’unica struttura costituzionale in grado di realizzare fittiziamente l’unità di un’Italia smembrata e priva della sua architettura Repubblicana/Resistenziale.
3) Finalmente, occorre porre mano, anche in sede legislativa, alla “riforma democratica dei partiti”. In base all’articolo 49 della Costituzione: “tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”. Contro i “partiti del Capo” e i “partiti di Stato”.
4) La Costituzione italiana è portatrice di un sistema di valori e di fondamenti giuridici ed economici che sono spesso incompatibili con i Trattati europei, fondati su concorrenza e mercato. Riteniamo che, ove esistano contraddizioni, prevalgano le disposizioni della Costituzione italiana.
5) Ci batteremo per l’abrogazione di leggi che consideriamo incostituzionali: a partire dalla legge Bossi/Fini contro i migranti, alla legge Minniti/Orlando, alla legge Salvini, che va abrogata nella sua totalità, quindi anche nella sezione che riguarda la prevenzione e repressione del conflitto sociale. Rinnoviamo quindi la nostra radicale opposizione all’esistenza di strutture di detenzione amministrativa per migranti (Cpr), e a ogni forma di gestione della presenza migrante, attraverso strumenti di polizia, uso di legislazioni speciali, normative che di fatto non obbediscono all’Art 3 della Costituzione. Di fronte ai drammi quotidiani, a cui il governo partecipa con demagogico cinismo, riteniamo urgente l’applicazione dell’articolo 10 della Costituzione sull’asilo, corredato da politiche congrue di accoglienza e non condannate, come da sempre avviene, a gestioni emergenziali, spesso opache. E’ un atto di inciviltà xenofoba la non approvazione della legge sulla cittadinanza (ius culturae), peraltro insufficiente e che garantisce solo in parte chi è nato e cresciuto in Italia. In tal senso, va riproposta la ratifica del capitolo C della Convenzione di Strasburgo, che garantisce il diritto di elettorato attivo e passivo alle elezioni amministrative: la civiltà giuridica ed umana vive sotto il ricatto delle destre razziste, ma anche della demagogia populista del M5S (“le ONG sono i taxi del mare” secondo la vergognosa frase di Di Maio) e dell’opportunismo del PD.
6) Ci battiamo per la laicità dello Stato in un paese in cui pesa ancora l’eredità del clericalismo, dall’ora di religione fino ai medici obiettori. L’unico articolo della Costituzione che pare sia intoccabile è quello più obsoleto e figlio di un contesto storico superato. I neoliberisti hanno manomesso molte parti della carta ma non essendo liberali si sono guardati dal toccare l’articolo 7. “Quel cappello dell’articolo 7 impedisce all’Italia di essere un Paese laico”, scriveva Lidia Menapace che spiegava: “Dei Concordati non c’è più bisogno dopo il Concilio Vaticano II, sono un relitto del passato. (…) il Concordato è davvero una pecca in una Costituzione peraltro assai bella”.
7) Ci battiamo contro la corruzione, il clientelismo e i privilegi. Nel nostro paese il giusto malcontento popolare è stato depistato fin dagli anni ’90 verso la delegittimazione della democrazia costituzionale e del pubblico, il populismo penale e il qualunquismo antipolitico. Lo stesso “tsunami” del M5S non ha portato al promesso taglio delle retribuzioni dei parlamentari ma a quello del parlamento.
8) Dobbiamo contrastare l’anticomunismo e il revisionismo storico che erodono le basi stesse della democrazia costituzionale, le sue radici nella storia del movimento operaio e nell’antifascismo. Il senso comune anticomunista, imposto nell’ultimo trentennio per celebrare la vittoria definitiva del capitalismo liberaldemocratico, in realtà ha contribuito a rilegittimare l’estrema destra. La risoluzione del parlamento europeo che ha equiparato comunismo e nazismo – votata anche dai partiti di centrosinistra e dal PD – costituisce una pagina assai grave di uso distorto e persino falso della storia. E’ questo il clima in cui un partito che reca nel simbolo la fiamma del neofascismo oggi si sente legittimato a depositare una proposta di legge per la messa al bando del comunismo.