- PREAMBOLO
Da troppi anni si è interrotta all’interno di Rifondazione Comunista la pratica degli incontri tra le compagne. Con questo XI Congresso e con lo spazio bianco della Tesi 19 si è riaperta questa opportunità riattivando un desiderio accantonato. Siamo assorbite dalle discussioni, dalla gestione, dalle attività del partito, ma le tante sollecitazioni dal mondo esterno ci fanno riflettere sull’impoverimento di idee che ha prosciugato la vitalità che pure un tempo c’è stata. Adesso alziamo la testa da una militanza totalizzante ma incompleta, in quanto monosessuata, e ci guardiamo intorno con la volontà e la decisione di esserci, riprendendo i fili delle nostre storie di femminismo e rimettendole in circolo per realizzare un comunismo ripensato alla luce del femminismo.
Lo sciopero transfemminista dell’8 marzo ha riportato in piazza le ragioni di un welfare che non sia reso funzionale alla riproduzione della società così com’è o come era prima, manifestando contro ogni forma di violenza patriarcale e capitalistica. In diverse parti del mondo grandi e tenaci movimenti di donne a partire dall’Argentina, al Cile, alla Colombia, agli Usa, all’Irlanda, alla Polonia, alla Turchia stanno affermando la loro soggettività e il diritto all’autodeterminazione, dimostrando ancora una volta come la libertà delle donne sia l’antidoto più radicale contro ogni forma di autoritarismo e fascismo. Siamo convinte che per dare corpo e rifondare un’alternativa, servano pensiero, pratiche e creatività politica femminista: una cura possibile alla rassegnazione, una genealogia del futuro senza cui non è possibile immaginare una alternativa all’uso capitalistico della pandemia. La crisi pandemica e sociale ha reso ancora più evidente la politicità del prendersi cura, la centralità del lavoro di riproduzione sociale. - PERCORSO
Il percorso che come tesi eccedente abbiamo in molte condiviso ci parla di una doppia assenza, quella di un testo sul femminismo e quella di uno sguardo antipatriarcale complessivo nelle tesi del Partito. A partire da questo congresso ci impegniamo a colmare questa assenza con nuove modalità di relazione fra noi donne di Rifondazione, fra noi e il Partito e il genere maschile nel Partito, fra il PRC e il vasto, profondo e continuo conflitto che il movimento delle donne agisce in tutto il mondo per sconfiggere tutte le forme del patriarcato. Rifondazione comunista affronta una nuova fase storica segnata dalla epidemia di Covid 19, dal suo diventare endemica grazie alla egemonia delle multinazionali e della loro sete di profitti, dalle conseguenze del ritiro delle truppe USA dall’Afghanistan, dal precipitare della crisi climatica che mette a rischio la vita di tutta l’umanità e dal tentativo del capitale di usare la crisi per riorganizzarsi strutturando nuove forme di dominio e di sfruttamento.
Per essere all’altezza di questo orizzonte si deve sapere che non basta avere nelle tesi un capitolo sul femminismo, ma che ogni capitolo delle tesi di un Partito Comunista anticapitalista e antipatriarcale dovrebbe contenere un punto di vista che alluda a questo continuo intreccio. Noi dunque abbiamo riempito un primo spazio bianco, quello del capitolo 19, ma soprattutto abbiamo impostato un lavoro perché la lettura femminista attraversi d’ora in poi tutta l’elaborazione, la produzione politica del Partito, la sua immagine pubblica anche formale nelle iniziative esterne. - PARTECIPAZIONE
Carla Lonzi ci ricordava che “il marxismo-leninismo ha bisogno di equiparare i due sessi, ma la regolazione di conti tra collettivi di uomini non può che produrre una elargizione paternalistica dei propri valori alla donna”. Anche la storia di rifondazione comunista è segnata da questa regolazione di conti. Ciò ha determinato, ad esempio, una rifondazione mancata nella forma-partito: tutta l’elaborazione prodotta dalle compagne sulla critica alla forma-partito, piramidale e maschile, è rimasta lettera morta. Spesso ci siamo sentite femministe nonostante la nostra iscrizione al partito. I compagni non hanno smesso di praticare la “mezza militanza”, quella che non ti mette in discussione dal punto di vista personale. Oggi i processi di femminilizzazione del lavoro si inseriscono in un contesto che già vede il lavoro di cura prevalentemente a carico delle donne.
Questo comporta, come abbiamo visto da un anno e mezzo a questa parte, che non solo continuiamo a farci carico del lavoro di cura, ma sempre più spesso questo avviene in una situazione (ad esempio quella del lavoro da casa) in cui gli spazi e i tempi del lavoro e della vita privata si fondono in un unicum molto difficile da gestire. Rendere il partito più accessibile alle donne significa non tanto aver presente la conciliazione dei tempi di vita, di lavoro e di attivismo politico, ma superare la concezione che le donne assumano naturalmente il maggior carico delle cure domestiche e far prendere coscienza ai compagni su quanto la loro presenza sia resa possibile e facilitata da donne che si assumono i lavori di cura (ad esempio mogli, madri ecc.). - INTERSEZIONALITA’ 1
Il lungo, complesso e articolato movimento delle donne, con le sue pratiche radicali e autonome, ci pone di fronte a un decisivo cambio di parametri politici e teorici, un cambio di civiltà. Si tratta di un soggetto storicamente oppresso che prende coscienza delle cause, delle modalità, dei linguaggi della sua oppressione e ci pone davanti una “utopia concreta”:
attraverso il nesso tra sesso (e genere, generi, orientamenti sessuali), classe, etnia, tra condizione e coscienza si può progettare la liberazione di tutti/e gli/e oppressi/e. A cominciare dagli e dalle invisibili, donne e uomini migranti. Nel mondo globalizzato intersezionale significa anche -immediatamente-internazionale ed è contingente a una fase di rie/vocazioni fascionazionaliste.
Il femminismo ha capito a fondo il nesso tra capitalismo e patriarcato e combatte il capitalismo anche attraverso la critica e la lotta al patriarcato. Soprattutto destrutturando il
1 L’intersezionalità è una categoria e una pratica politica femminista volta ad affrontare i nessi tra oppressioni diverse. Come comunisti e comuniste sappiamo bene che la condizione di una donna proletaria non è esattamente sovrapponibile a quella di un uomo proletario, così come sappiamo che il patriarcato agisce sulla vita di una donna borghese in maniera diversa da come opprime una donna proletaria. Non esistono, però, solo la classe e il genere. Le donne lesbiche, le donne razzializzate, le donne con disabilità, le donne trans vivono esperienze specifiche di oppressione, discriminazioni, violenze che non si sommano, ma si moltiplicano in maniera esponenziale. Lottare assieme a loro deve portarci a tenerne conto costantemente. Non dobbiamo fare l’errore di confondere l’unità delle lotte tra soggetti diversi, che pratichiamo da sempre, con lo sguardo intersezionale sulle vite dei soggetti in lotta.
potere maschile, il sessismo, la pretesa universalistica maschile. Il conflitto di genere agito dalle compagne mette necessariamente in crisi l’autosufficienza maschile. Il femminismo deve essere intersezionale, deve essere il punto di vista da cui progettare e praticare la rifondazione comunista.
Come il movimento LGBT continua a modificarsi e restare aperto alla realtà aggiungendo sigle all’acronimo fino al + per indicare che ognun3 deve trovare ascolto e rappresentanza, così dobbiamo fare rispetto alle lotte, alle condizioni sociali e lavorative, che sono altrettanto mutevoli e sfuggenti. Riteniamo che il nostro femminismo debba essere transfemminista e che anzi le posizioni transescludenti siano inconciliabili con la nostra idea di comunismo e femminismo.
Come comuniste e comunisti dobbiamo avere chiaro che il fine deve essere l’intersezionalità delle lotte, non l’intersezionalità delle identità e che “unire le lotte” significa fissarne gli intrecci, saldando così insieme la molteplicità delle singole proteste e delle singole rivendicazioni di libertà e l’unità dello scopo finale da raggiungere che è l’emancipazione umana in generale. - ATTUALITA’
La critica femminista all’economia politica neoliberista ha messo in luce i processi di femminilizzazione del lavoro, l’intensificazione della messa a profitto della riproduzione sociale, delle facoltà relazionali, della cura e un nuovo processo di privatizzazione del carico sociale. La femminilizzazione del lavoro, ovvero quel processo per cui l’individuo diventa una risorsa per il mercato del lavoro senza soluzione di continuità tra tempo/spazio di lavoro (con l’homeworking) e tempo/spazio privato, con la cessione e subordinazione di ciò che attiene alla dimensione privata, smaschera che è proprio il patriarcato ad essere la matrice di qualunque oppressione che oggettivizza e mercifica l’altro da sé. Se la femminilizzazione del lavoro è la forma del capitalismo attualmente più avanzato, si articola e agisce in base alle più arcaiche forme di potere e dominio maschile.
Nella “società della prestazione”, tempo di vita e tempo di lavoro si sovrappongono, lo sfruttamento dei corpi e delle relazioni rende la misura oraria necessaria ma insufficiente a comprendere l’estensione e l’intensità dell’accumulazione del capitale. Oggi, come ricorda Silvia Federici, “la ristrutturazione dell’economia globale ha modificato il lavoro riproduttivo e in particolare la divisione sessuale del lavoro e i rapporti tra donne e uomini”: patriarcato e neoliberismo hanno “allungato la giornata lavorativa domestica delle donne e riportato il lavoro domestico a casa (…) le donne sono state gli ammortizzatori della globalizzazione economica”. Il nesso tra sfruttamento della riproduzione, dominio patriarcale e accumulazione capitalistica ci porta a ritenere fondamentale la proposta di un reddito di autodeterminazione per tutte e tutti: un reddito di base incondizionato e universale, che renda possibile l’autodeterminazione e ripensare il lavoro come un luogo dove l’autodeterminazione si realizza liberamente.
La visione transnazionale che caratterizza il nostro partito non può esimersi dal seguire e contrastare le vicende di Agenda Europa. Nella destra ultracattolica si sta muovendo un progetto politico complesso e ambizioso, che mira a spianare i diritti umani in tutta Europa ripristinando quello che la rete di numerosi gruppi di destra, Agenda Europa, chiama “il ripristino dell’ordine naturale”.
- PANDEMIA
Le donne, con i loro corpi, la loro mente e il loro lavoro, che è sempre doppio nella produzione, in quello che viene definito “il mercato del lavoro“ e nella sfera privata della riproduzione, sono state la prima fila che ha affrontato l’urto devastante della pandemia poiché in Italia e nell’UE sono la stragrande maggioranza del personale sanitario, del personale dei servizi pubblici e sociali, della istruzione primaria, del lavoro della distribuzione e sono quelle che, costrette dal lockdown al telelavoro, nella casa si sono ritrovate a gestire in una faticosa e obbligata sovrapposizione di tempi, il lavoro domestico, il lavoro retribuito e anche le relazioni di cura con figli e figlie, anziani genitori, familiari in condizioni di non autosufficienza.
La pandemia ha fatto impennare le denunce dei casi di violenza domestica (+ 40 %) anche sui minori e in particolare sulle bambine.
Le donne hanno cominciato a risentire della perdita del lavoro ancor prima dello sblocco dei licenziamenti: la percentuale delle donne che ha perso il lavoro è doppia di quella degli uomini, nel dicembre 2020 su 100000 posti di lavoro persi 99.000 erano di donne. Il divario occupazionale di genere che si è accentuato durante il lockdown non si è colmato. La disparità tra le donne occupate e gli uomini occupati va oltre la pandemia. È endemica ed è legata soprattutto alla genitorialità: le donne occupate con figli che vivono in coppia sono solo il 53,5%, contro l’83,5% degli uomini a pari condizioni. Per i single, i tassi di occupazione sono 76,7% per maschi e 69,8% per le femmine. Le donne sono penalizzate nelle nuove assunzioni, né esiste nella politica del Governo e nelle schede del PNRR una attenzione concreta orientata al suo superamento. La pandemia ha dunque solo svelato con più forza ed evidenza i meccanismi patriarcali che operano profondamente nell’economia capitalista. - DONNE E PACE
La difesa internazionale dei diritti delle donne sono strumentali pretesti per giustificare ancor oggi interventi militari. Non si esportano con la guerra e le spedizioni militari né il socialismo, né la democrazia, né il femminismo, né si difendono i diritti umani. Dobbiamo essere in prima fila a smascherare e a rigettare lo scontro di civiltà. Le spedizioni militari fatte in nome dei diritti umani, l’apertura di conflitti locali da parte degli Usa o di nazioni Europee come Francia e Italia che cercano di mantenere l’egemonia delle loro antiche colonie (Irak , Afghanistan, Libia, Mali etc) sono atti di guerra che innescano guerre civili e disastri umanitari, sono manifestazione organiche di violenza patriarcale. Allo stesso modo sappiamo che in ogni parte del mondo il corpo delle donne è “bottino di guerra“ e che la risposta delle donne è sempre “eccedente”, superando gli stereotipi e i ruoli che la società tenta loro di imporre da sempre. Dalle riflessioni delle pratiche femministe internazionali è venuta la critica profonda dei nazionalismi, della loro coincidenza con il militarismo, la critica dei confini e delle frontiere, che non significa equivalenza tra invasori e invasi , ma significa la critica alle appartenenze identitarie, cioè patriarcali.
Dobbiamo essere capaci di fare rete con tutte le esperienze femministe e di donne per apprendere reciprocamente. - ECOFEMMINISMO/CURA
Nella lunga storia della lotta delle donne contro l’oppressione di genere, il femminismo ha criticato con forza l’idea di “naturalità” costruita nei secoli dal pensiero maschile che si pretende universale, che le colloca in un ordine definito “naturale” e quindi immutabile, che le imprigiona nella gabbia delle relazioni familiari, nel destino della maternità, del sacrificio per i figli, nell’essere corpo a disposizione di altri. Da questa nostra lotta scaturisce una nuova idea di umanità e quindi di cittadinanza, dove non solo sono visibili i generi, ma anche tutte le soggettività che escono dall’ordine patriarcale e antropocentrico.
Quando parliamo di “natura” non ci riferiamo solo a quel conflitto, ma al pianeta, alla terra, all’acqua, l’atmosfera che rende possibili tutte le forme di vita, al complesso delle sue risorse e degli equilibri e al mutamento che sta avvenendo da secoli per opera dell’uomo. Il femminismo e le donne dei movimenti sociali del Sud del mondo, proprio perché più dirette protagoniste delle lotte contro il capitalismo estrattivista che devasta i loro territori e frantuma le vite delle loro comunità, hanno a iniziato da tempo a criticare questo modello di sviluppo, a cercare risposte a sperimentare nuovi modelli di economia della cooperazione e non della competizione, di circolarità e territorialità fuori dalla globalizzazione, di ricorso al valore d’uso e non di scambio. Donne che hanno sacrificato la loro esistenza in una battaglia che, come ripeteva l’ambientalista indigena Lenca Honduregna Berta Caceres Flores, le vede soggette a una triplice dominazione: patriarcato, capitalismo e razzismo. Vogliamo imparare dalla loro esperienze e dai loro saperi, a partire dalla declinazione di una economia della cura che ricostruisca un welfare universale, non familistico, una possibilità di lavoro sicuro con tempi che non invadano e colonizzino la vita, introducendo reddito di autodeterminazione e reddito di base per native e migranti. - CLASSE E GENERE
Capitalismo e patriarcato hanno costruito la loro egemonia attraverso la divisione sessuale del lavoro, la naturalizzazione della sessualità femminile, la separazione tra pubblico (riservato agli uomini) e privato (destinato alle donne). Il movimento operaio si è costruito politicamente nel conflitto contro il capitalismo, ma non ha individuato nel dominio maschile un potente avversario da combattere. Ci sono volute le lotte delle donne che, a partire dalla libertà personale, hanno cercato di instaurare una libertà per tutte e tutti, contro la colonizzazione dei corpi e la neutralizzazione delle differenze.
Il nesso fra classe e genere non è opzionale, è un punto che deve essere compreso e condiviso da tutto il Partito affinché in ogni momento dello scontro di classe non perda lo sguardo antipatriarcale, perchè la contraddizione uomo/donna e quella capitale/lavoro si articolano e si intrecciano nei modi più disparati, ma sono in stretta e inscindibile connessione. Infatti “la prima oppressione di classe coincide con quella del sesso femminile da parte del sesso maschile” quindi “nella famiglia l’uomo è il borghese, la donna rappresenta il proletariato” ( da Engels, “Origine della famiglia, della proprietà privata e dello stato”, Editori Riuniti, pag. 93 e 101).
Un Partito comunista che non sviluppi un’azione e una teoria antipatriarcale non assolve alla sua funzione. La relazione con il femminismo e il movimento delle donne non è solo una questione di alleanze sociali e di unificazione dei conflitti ma apre una questione interna alla categoria attuale di rivoluzione e di comunismo. - ORGANIZZAZIONE
Pensiamo, quindi che la prospettiva femminista e intersezionale debba essere fondativa della rifondazione comunista, sul piano teorico, politico e organizzativo.
Dobbiamo definitivamente superare il sistema delle precarie aggiunte a posteriori dei temi femminili alle piattaforme generali, andare concretamente a una reale unità di responsabilità e direzione politica, attraversare tutte le elaborazioni con uno sguardo di genere.
Completare la cassetta degli attrezzi per compagne e compagni che vengono eletti/e negli enti locali, contenente le azioni (delibere, o.d.g. ecc.) che attengono alle lotte femministe.
Definire un’agenda tematica che comprenda le lotte distintive dei femminismi (aborto, contraccezione, violenza, femminicidio, autodeterminazione dei corpi,…) collegata anche a un percorso formativo.
Aver inserito nello statuto la forma della doppia figura come segretari. nazionale ha sicuramente un valore simbolico.
Resterà solo simbolico se non viene inteso e agito come messa in discussione della nozione di potere insita nell’apicalità.
Guardiamo al modello kurdo senza volerne fare un’appropriazione indebita, consapevoli che per un reale cambio di paradigma ancora molto deve maturare.
In questo Congresso il percorso eccedente termina con la produzione di questa tesi e si mobilita in assemblea permanente autogestita, su base volontaria, declinabile anche sui vari livelli territoriali.
Primo contributo. Tesi eccedente – Rifondazione femminista, per l’intersezionale comunista