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I provvedimenti del Governo fascista pagarono subito il debito di Mussolini nei confronti dei “poteri forti” della borghesia italiana che lo avevano portato al potere: furono sciolte le amministrazioni comunali e provinciali che erano nelle mani di socialisti o di popolari e liquidate le cooperative, le Leghe nelle campagne, le organizzazioni sindacali socialiste, con la conseguente drastica diminuzione dei salari. Dunque finalmente ebbero mano libera gli industriali, gli agrari e la finanza, con l’annullamento dei provvedimenti fiscali che potessero fare loro da intralcio, mentre contadini e mezzadri si ritrovarono gravati di nuove imposte. La rivalutazione della lira provocò la deflazione e l’aumento della disoccupazione. Altro che anticapitalismo del fascismo!
Il 16 maggio 1925, alla Camera dei Deputati Antonio Gramsci, nel suo unico discorso parlamentare (ripetutamente interrotto da Mussolini), denuncia il carattere anti-popolare del regime.
Intanto i finanziamenti dello Stato si spostarono massicciamente verso l’industria bellica, sostenuti dalla martellante campagna nazionalistica e di guerra, che già rivelava la tendenza guerrafondaia insita nel fascismo.
Proprio la previsione della tendenza fascista alla guerra porterà Gramsci a dire (in occasione del suo processo): “Voi fascisti porterete l’Italia alla rovina, e a noi comunisti spetterà salvarla!”. Si consolidò sempre più il carattere totalitario dello Stato: l’abolizione delle legge elettorale proporzionale1 consentì a Mussolini maggioranze plebiscitarie per il suo “listone”. Intanto il regime sovrapponeva totalmente il Partito fascista allo Stato: fu riconosciuta e finanziata dallo Stato la fascista “Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale”, mentre l’iscrizione al Fascio divenne condizione necessaria per poter lavorare; la stampa, interamente controllata dal regime, pubblicava le “veline” di Mussolini e del Governo; la Magistratura conobbe l’istaurazione del “Tribunale speciale per la sicurezza dello Stato”, esplicitamente addetto alla repressione, i cui giudici erano scelti fra i militari e i membri della Milizia, che (nel Paese di Cesare Beccaria2) restaurava la pena di morte e le cui sentenze non erano passibili di ricorso.
Tra il 1926 (anno della sua istituzione) e il 1943 al “Tribunale speciale” furono deferiti 15.806 antifascisti/e (891 le donne), 12.330 furono inviati/e al confino e ben 160.000 furono gli “ammoniti” sottoposti a “vigilanza speciale”, che comportava fra l’altro periodici e immotivati arresti. Gli imputati al “Tribunale speciale” furono 5.619 (124 donne), i condannati 4.596. Gli anni totali di prigione inflitti furono 27.735, 42 le condanne a morte. Dei processati i tre quarti erano comunisti/e.
Nel 1931 il regime fascista impose ai professori universitari un giuramento di fedeltà al duce, escludendo dall’Università (senza pensione) chi si fosse rifiutato.
Su 1.225 professori universitari solo una quindicina si rifiutarono all’umiliante giuramento, pagando la loro scelta con l’esclusione dall’Università. Questi i loro nomi: Francesco Ruffini, Mario Carrara, Gaetano De Sanctis, Antonio Viti De Marco, Floriano Del Secolo, Piero Martinetti, Bartolo Nigrisoli, Ernesto Buonaiuti, Giorgio Errera, Vito Volterra, Giorgio Levi Della Vida, Edoardo Ruffini Avondo, Enrico Presutti, Fabio Luzzatto. A questi sono da aggiungere Aldo Capitini (Segretario della Normale, che non era professore) e altri che scelsero l’esilio (come Gaetano Salvemini, Giuseppe A. Borgese, Lionello Venturi, etc.).
Continuava intanto, e si intensificava, l’attività repressiva del fascismo, fatta di minacce, delazioni, prepotenze di ogni tipo, e del lavoro della polizia segreta OVRA: il 9 giugno 1937 a Bagnoles de l’Orne (pronuncia: “bagnòl de l’òrn”) in Francia i fascisti uccidono barbaramente Carlo Rosselli, fondatore di “Giustizia e Libertà”, e suo fratello Nello3.
Era derivata dalla intenzionale ambiguità del fascismo (da cui siamo partiti) anche la difficoltà e il ritardo che il movimento operaio manifestò di fronte al sorgere di questo fenomeno che (ricordiamocelo) non aveva precedenti.
Il contributo decisivo perché l’Internazionale Comunista (Comintern) sapesse analizzare e comprendere il fascismo, e dunque sconfiggerlo, venne dai comunisti italiani, da Gramsci e specialmente da Togliatti (il Corso sugli avversari, un ciclo di lezioni tenute da Togliatti a Mosca fra il gennaio e l’aprile del 1935, presso la scuola-quadri della Terza Internazionale). (Materiali: dal testo Togliatti, Corso sugli avversari, a cura di Francesco Biscione, Torino, Einaudi, 2010).
Fu così possibile al movimento operaio capire finalmente il fascismo, utilizzando le categorie analitiche del marxismo e gettando le basi per la politica dei Fronti popolari, della vittoriosa alleanza antifascista mondiale e della Resistenza (che dunque ebbero un contributo decisivo da parte del comunisti italiani).
Nel suo Rapporto al VII Congresso della Terza Internazionale Comunista, che si tenne a Mosca, il 2 agosto 1935, il presidente dell’Internazionale, il bulgaro Giorgi Dimitrov (1882-1949), riprendendo la XIII sessione plenaria del Comitato Esecutivo, definì il fascismo come: “la dittatura terrorista aperta degli elementi più reazionari, più sciovinisti e più imperialisti del capitale finanziario”. “L’avvento del fascismo al potere” – affermò Dimitrov – “non è un’ordinaria sostituzione di un governo borghese con un altro, ma è il cambiamento di una forma statale del dominio di classe della borghesia – la democrazia borghese – con un’altra sua forma, con la dittatura terroristica aperta.”
In quel Rapporto, Dimitrov per spiegare il consenso che i fascismi avevano ottenuto fra le masse, poneva pure il problema della loro particolare capacità demagogica:
“Qual è l’origine dell’influenza del fascismo sulle masse? Il fascismo riesce ad attirare una parte delle masse perché fa appello demagogicamente ai loro bisogni e alle loro aspirazioni più sentite. Il fascismo non attizza soltanto i pregiudizi profondamente radicati nelle masse, ma specula anche sui migliori sentimenti delle masse, sul loro senso di giustizia e qualche volta persino sulle loro tradizioni rivoluzionarie.”
Gramsci nei Quaderni del carcere arricchì quest’analisi spiegando come il fascismo rappresenti in realtà una fase di debolezza, e non di forza, della borghesia italiana, la quale – ormai incapace di esercitare una vera egemonia – deve ricorrere al dominio cioè alla coercizione. In particolare tale coercizione deve essere utilizzata dal fascismo per impedire l’avvento di una nuova egemonia alternativa, colpendo dunque anzitutto i comunisti e il loro Partito, per mantenere cioè l’avversario storico, il proletariato, in una situazione di “debolezza relativa”.
Il fascismo sostituisce dunque una vera egemonia della classe borghese (ormai storicamente impossibile) con un impressionante apparato di artifici, cioè con la propaganda4, con la “nazionalizzazione delle masse” (la retorica guerresca e i miti patriottardi, le adunate a piazza Venezia, le sfilate militari, etc.), con l’organizzazione capillare della società civile (i balilla, il “sabato fascista”, il dopolavoro, il GUF, etc.), con l’utilizzazione assai moderna della radio, dei cinegiornali e del cinema (“L’arma più potente” secondo Mussolini). Ma il vero e solo scopo di questo imponente apparato di massa del fascismo era proprio e solo la “passivizzazione delle masse”.
Da queste analisi in merito alla capacità del fascismo di controllare e irreggimentare le masse (e non più solo di escluderle e ignorarle come faceva lo Stato liberale) derivano per i comunisti importanti conclusioni politiche: non è possibile uscire dal fascismo – per dir così – “all’indietro”, cioè restaurando le forme del vecchio Stato liberale, del tutto privo di basi fra le masse popolari a causa del miope conservatorismo dell’asfittica borghesia italiana. Al contrario, si può fuoruscire dal fascismo solo “in avanti”, costruendo (ancor prima della conquista del potere statuale) la nuova e alternativa egemonia proletaria, che si dovrà fondare su un nuovo protagonismo delle masse, sulla loro partecipazione politica, sulla scuola, la cultura e l’istruzione per tutti, sulla lotta sindacale dispiegata e sulla democrazia operaia, determinando la creazione massiccia e diffusa di quadri dirigenti, dei nuovi intellettuali organici al popolo-nazione: insomma, con il Partito di massa, con una “democrazia progressiva”.
Sarà questo, come vedremo, il programma politico del “Partito nuovo” di Togliatti che guiderà prima la Resistenza e poi la Costituzione.
1 Congiunta a un “premio di maggioranza” per garantire la “governabilità” al vincitore: un altro esempio fascista assai seguito, dalla “Legge truffa” del ’53 fino ai nostri giorni.
2 Cesare Beccaria (1738-1794), è autore di un’opera, Dei delitti e delle pene, decisiva contro la tortura e la pena di morte. Le sue posizioni influenzeranno l’Europa e anche il nipote di Beccaria Alessandro Manzoni. «Parmi un assurdo che le leggi, che sono l’espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscono l’omicidio, ne commettono uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall’assassinio, ordinino un pubblico assassinio» (Dei delitti e delle pene, cap. XXVIII).
3 Di questo orribile omicidio (un agguato a sangue freddo, contro inermi) si narra nel romanzo di Moravia, Il conformista, da cui Bernardo Bertolucci ha tratto un film bellissimo.
4 Si ricorderà che la propaganda politica di massa moderna trovò nel nazista Goebbels uno dei principali inventori e protagonisti.