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Dopo il suo viaggio negli USA, Alcide De Gasperi estromise i comunisti e i socialisti dal Governo (maggio 1947).
Il Primo maggio 1947 avvenne quella che possiamo considerare la prima “strage di Stato”: a Portella della Ginestra una manifestazione festeggiava sia il ritorno della festa del Primo maggio (che era stato abolita dal fascismo), sia la riforma agraria che prese il nome dal comunista Gullo (l’assegnazione ai contadini di terre lasciate incolte dai latifondisti), sia – e soprattutto – la vittoria della sinistre alle elezioni siciliane (la coalizione PSI-PCI aveva conquistato 29 seggi con il 32% circa dei voti, contro i 21 seggi della DC crollata al 20% circa).
Lo schieramento a sinistra della Sicilia (la più popolosa regione italiana) che prometteva di sommarsi al voto delle “regioni rosse” e a quello del Nord operaio, era un fatto che non poteva essere tollerato dai poteri vigenti, intrecciati con la mafia.
Si provvide dunque con una strage che intimidisse i lavoratori e ribadisse il potere di morte della mafia[1]: dai monti che circondavano la manifestazione, gli uomini del bandito Giuliano aprirono il fuoco sulla folla, inerme e priva di ogni riparo. Le raffiche di mitra si protrassero per circa un quarto d’ora e lasciarono sul terreno undici morti (otto adulti e tre bambini) e ventisette feriti, di cui alcuni morirono in seguito per le ferite riportate.
Il processo, spostato a Viterbo, si concluse solo nel 1953, attribuendo la responsabilità della strage al solo Salvatore Giuliano (nel frattempo ucciso con una messinscena), mentre il suo vice Gaspare Pisciotta, che si era prestato alla messinscena della uccisione di Giuliano e chiamava in causa politici della destra e della DC, fu ucciso in carcere nel 1954 con una tazzina di caffè avvelenato.
La strage di Portella della Ginestra, che si può considerare la prima “strage di Stato” della storia repubblicana, segna l’esordio di un terribile triangolo di morte che avrebbe operato anche in seguito in Italia, un triangolo sempre rappresentato da esecutori materiali mafiosi (o neo-fascisti), dalla complicità di corpi dello Stato cosiddetti “deviati”, e dalla regia dei servizi segreti USA; questi ultimi avevano rapporti diretti con Giuliano e già avevano stretto un duraturo patto con la mafia in occasione dello sbarco del 1943[2].
L’adesione alla NATO (aprile 1949) completava la fine della unità democratica fra le forze antifasciste. La Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord (in inglese: North Atlantic Treaty Organization, in sigla NATO) si presentava come un’alleanza difensiva, geograficamente delimitata[3] a cui aderirono 12 Paesi.
Attualmente (nel 2022) le basi NATO in Italia sono 140, 20 “segrete”, con 13.000 soldati e centinaia di ufficiali americani; a Ghedi (Brescia) e ad Aviano (Pordenone) sono collocati almeno 80 ordigni nucleari.
Ha fatto parte del dominio statunitense sull’Italia l’apprestamento di una struttura armata clandestina Stay-Behind (in Italia: “Gladio”) che sarebbe intervenuta in caso di avanzata delle sinistre, una struttura la cui esistenza fu ammessa tranquillamente da Andreotti alla Commissione Stragi il 24 ottobre 1990 (dopo essere stata svelata dal neo-fascista Vinciguerra e dall’ex direttore della CIA William Colby).
La DC si colloca, dopo la vittoria alle elezioni politiche del 18 aprile 1948, al centro del sistema politico italiano, con la collaborazione dei partiti borghesi minori (il PLI, il PRI, il PSDI di Giuseppe Saragat): è il cosiddetto “centrismo”.
La vera base di massa della DC era però costituita dall’impegno anticomunista della Chiesa di papa Pio XII, Eugenio Pacelli, fervente anti-comunista. Per cercare di recidere i legami del PCI fra le masse, e in primo luogo fra i cattolici, si giunse fino alla scomunica, ispirata dal reazionario cardinale Ottaviani.
Il 15 luglio 1949, l’”Osservatore romano” pubblicò un decreto dell’allora Sacra Congregazione del Sant’Uffizio:
«È stato chiesto a questa Suprema Sacra Congregazione: 1. Se sia lecito iscriversi al partito comunista o sostenerlo; 2. se sia lecito stampare, divulgare o leggere libri, riviste, giornali o volantini che appoggino la dottrina o l’opera dei comunisti, o scrivere per essi; 3. se possano essere ammessi ai Sacramenti i cristiani che consapevolmente e liberamente hanno compiuto quanto scritto nei numeri 1 e 2; 4. se i cristiani che professano la dottrina comunista materialista e anticristiana, e soprattutto coloro che la difendono e la propagano, incorrano ipso facto nella scomunica riservata alla Sede Apostolica, in quanto apostati della fede cattolica.
Gli Eminentissimi e Reverendissimi Padri preposti alla tutela della fede e della morale, avuto il voto dei Consultori, nella riunione plenaria del 28 giugno 1949 risposero decretando: 1. negativo: infatti il comunismo è materialista e anticristiano; i capi comunisti, sebbene a volte sostengano a parole di non essere contrari alla Religione, di fatto sia nella dottrina sia nelle azioni si dimostrano ostili a Dio, alla vera Religione e alla Chiesa di Cristo; 2. negativo: è proibito dal diritto stesso (cfr. can. 1399 del Codice di Diritto Canonico); 3. negativo, secondo i normali princìpi di negare i Sacramenti a coloro che non siano ben disposti; 4. Affermativo”.
Lo schieramento a destra della Chiesa di Pio XII giunse, nel 1952 in occasione delle elezioni amministrative di Roma, a tentare la creazione di una lista “civica”, guidata da un sacerdote, che comprendesse i neo-fascisti e i monarchici (è la cosiddetta “Operazione Sturzo”[4]).
Il tentativo fallì per la decisa opposizione di De Gasperi, che il vendicativo Pio XII si rifiutò poi di ricevere in occasione della monacazione della figlia e dell’anniversario di matrimonio dello statista trentino.
Si faceva tuttavia sempre più strada, nelle forze reazionarie del Paese, la convinzione che la democrazia parlamentare rappresentasse “una fortezza che difendeva solo gli assedianti”, cioè i comunisti, i quali non cessavano di crescere alimentandosi della lotta di classe.
Inizia così la lunga battaglia delle classi dominanti per liberarsi dell’impaccio della democrazia, cioè in ultima analisi della Costituzione (una sciagurata battaglia che dura fino ai nostri giorni).
Un episodio cruciale a questo proposito fu la cosiddetta “Legge truffa” (del 1953), che aboliva la proporzionale (in vigore dalla Costituente del 1946) e assegnava una maggioranza schiacciante di seggi (il 65%) al partito, o alla coalizione, che avesse riportato i 50% più uno dei voti. Formarono la coalizione con la DC, il PSDI, il PRI, il PLI, la Sudtiroler Volkspartei e il Partito Sardo d’Azione. Ma si opposero ad essa, oltre che il PCI e il PSI, numerose e prestigiose personalità democratiche, da Ferruccio Parri a Piero Calamandrei a Tristano Codignola.
Nel 1953 la legge truffa non scattò (la coalizione DC si fermò al 49,8% dei voti) e poco dopo la legge-truffa fu abolita.
Bisognerà attendere il referendum Segni-Occhetto, fino agli attuali “Porcellum” e “Rosatellum”, perché l’attacco alla proporzionale (previsto dal “Piano di Rinascita” di Licio Gelli) avesse successo.
Per saperne di più
- Dispensa per la formazione politica (anni 1945-1960): “Noi lo chiamiamo Pomigliano“, a cura del Circolo Che Guevara del Partito della Rifondazione Comunista (www.prcguevara.net)
- S. Dalmasso, Lelio Basso. La ragione militante: vita e opere di un socialista eretico, Roma, Red Star Press, 2018.
- S. Dalmasso, Lucio Libertini. Lungo viaggio nella sinistra italiana, Milano, Punto Rosso, 2020.
[1] Nel mese successivo alla strage, la banda Giuliano incendiò e devastò con mitra e bombe a mano le sedi delle leghe contadine del PCI di Monreale, Carini, Cinisi, Terrasini, Borgetto, Pioppo, Partinico, San Giuseppe Jato e San Cipirello, provocando diversi morti e numerosi feriti: sui luoghi degli attentati vennero lasciati dei volantini firmati dallo stesso bandito che incitavano la popolazione a ribellarsi al comunismo. Secondo stime ufficiali, della Commissione parlamentare Antimafia, il numero complessivo delle vittime attribuibili alla banda Giuliano è stato calcolato nell’impressionante cifra di 430 (da Wikipedia, https://it.wikipedia.org/wiki/Salvatore_Giuliano, consultato nel giugno 2022).
[2] Cfr. G. Casarrubea – M. J. Cereghino, Lupara nera. La guerra alla democrazia in Italia (1943-1947), Milano, Bompiani, 2009.
[3] Quest’aspetto degli espliciti limiti geografici dell’Alleanza, oggi totalmente rimosso, fu ripetutamente richiamato dai Governi democristiani, per non far partecipare l’Italia né alla guerra di Corea né alla guerra del Vietnam. Bisognerà attendere il Governo D’Alema perché per la prima volta, nel 1999, l’Italia partecipi agli ordini della NATO a una guerra (contro la Jugoslavia).
[4] Cfr. A. Riccardi, Pio XII e Alcide De Gasperi. Una storia segreta, Roma-Bari, Laterza, 2003.