1.3 La Rivoluzione d’Ottobre

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La guerra, con le stragi di soldati e la fame per le popolazioni che essa portava con sé, segnò un punto di crisi gravissima nel fragile regime borghese russo, emerso dalla fine della monarchia (lo zar aveva dovuto lasciare il potere dopo l’insurrezione di Pietrogrado del febbraio 1917: la “rivoluzione di febbraio”). Il Governo provvisorio di Kerenskij, legato alle potenze capitalistiche occidentali, aveva deciso di continuare la guerra ad ogni costo.

Manifestazione 4 luglio 1917
L’esercito del governo provvisorio spara sui manifestanti a Pietrogrado, 4 luglio 1917(Viktor Bulla, Public domain, via Wikimedia Commons).

A luglio era stato sventato dalla mobilitazione popolare un colpo di Stato di reazionari e nazionalisti guidati dal generale Kornilov.

Vladimir Ilic Lenin, tornato in patria dall’esilio, pose al suo “Partito Operaio Socialdemocratico Russo (bolscevico)” l’obiettivo di trasformare la crisi in rivoluzione (le Tesi di aprile), cioè nella conquista del potere statuale da parte del proletariato.

In tutta la Russia si erano intanto formati, per lo più spontaneamente, i Soviet, delle strutture assembleari di democrazia diretta che prevedevano la partecipazione di tutti i membri di una fabbrica o di un distretto agricolo, a cui si aggiunsero presto i Soviet dei soldati. I bolscevichi, che erano in numero ancora esiguo, lavorarono ovunque all’interno dei Soviet, restandovi spesso in minoranza ma esercitandovi sempre la loro egemonia politica.

Il 24 ottobre del calendario giuliano, arrivarono a Pietrogrado (divenuta poi Leningrado, e attualmente San Pietroburgo) i delegati del II Congresso dei Soviet. Questa volta, a differenza della “rivoluzione di febbraio”, i Soviet dei soldati e degli operai erano armati, e potevano contare inoltre sui marinai della Flotta del Baltico di stanza a Pietrogrado. Le parole d’ordine leniniste (“Terra ai contadini! Fine della guerra senza annessioni né riparazioni! Tutto il potere ai Soviet!”) erano di tale forza presso le masse da sottrarre qualsiasi base di consenso al Governo Kerenskij, che fu facilmente travolto, praticamente senza spargimento di sangue, tra la notte del 24 ottobre e il mattino del giorno 25 ottobre (il 7 novembre secondo quello occidentale1). Kerenskij riuscì a fuggire su un’ambulanza verso l’Occidente.  Lenin, che con Trotzkij aveva avuto il ruolo principale nella direzione degli eventi di Pietrogrado, poté proclamare il rovesciamento del Governo e il passaggio del potere al “Comitato militare rivoluzionario“, costituito in seno al Soviet di Pietrogrado. La stessa sera gli insorti occuparono il Palazzo d’Inverno, cioè la residenza invernale dello zar ora sede del Governo provvisorio.

Questo il comunicato che annunciava la vittoria della rivoluzione:

“Ai cittadini della Russia

Il Governo Provvisorio è stato rovesciato. Il potere statale è passato nelle mani dell’organo del Soviet dei deputati degli operai e dei soldati di Pietrogrado, – il Comitato militare rivoluzionario, alla testa del proletariato e della guarnigione di Pietrogrado.

La causa per la quale il popolo ha lottato, – un’immediata proposta di pace democratica, l’abolizione dei diritti dei latifondisti sulla terra, il controllo sulla produzione da parte degli operai, la creazione di un governo sovietico – questa causa è assicurata.

Viva la rivoluzione degli operai, dei soldati e dei contadini!”

Contemporaneamente, presso l’aula magna dell’Istituto Smol’nyj, si svolgeva il Congresso dei Soviet, a cui fu formalmente consegnato il potere conquistato con la rivoluzione. In quell’assemblea si contavano 338 delegati bolscevichi sui 648 complessivi, e la conquista del potere fu approvata con una maggioranza dei tre quarti dei voti. Una parte dei menscevichi e dei socialrivoluzionari abbandonò l’assemblea e, per il rifiuto del menscevichi ad entrarvi, il “Consiglio dei commissari del popolo” (praticamente un Governo) eletto la sera del 26 ottobre fu composto dai soli bolscevichi e presieduto da Lenin.

Fu immediatamente decretata la confisca dei grandi proprietari terrieri e la redistribuzione delle terre tra i contadini, e si rivolse un appello a tutti i popoli belligeranti per una pace senza annessioni né indennità. La Rivoluzione vittoriosa si estese subito dopo a gran parte dei territori dell’ex Impero russo.

Ma era decisivo il contesto internazionale caratterizzato dalla guerra mondiale. L’appello sovietico rivolto ai soldati delle altre potenze europee perché abbandonassero la guerra rimase di fatto inascoltato, e la Russia fu costretta dagli Imperi centrali alla pace di Brest-Litovsk (3 marzo 1918) che prevedeva pesanti sacrifici territoriali.  Il governo bolscevico dovette cedere tutti i territori russi già occupati durante la guerra dall’esercito tedesco, più l’Estonia, la Lettonia, parte della Russia Bianca e soprattutto l’Ucraina, che confluirono nella Ober-Ost  del II Reich tedesco.

Resta comunque il fatto, largamente sottovalutato dalla storiografia borghese, che senza la scelta per la pace della rivoluzione russa la guerra mondiale sarebbe continuata indefinitamente, aggravando ancor più il costo già terribile pagato dai popoli europei.

Alla presa del potere da parte dei bolscevichi si erano opposte alcune minoranze nazionali (soprattutto i Cosacchi) ma presto scesero in campo le forze della contro-rivoluzione,  un’ “Armata dei Volontari” (detti “i bianchi”)  guidati dal generale Mikhail Alekseev, il vecchio Comandante in capo zarista, e dallo stesso generale golpista Kornilov. I “bianchi” furono appoggiati, oltre che dalla Chiesa ortodossa russa, da una coalizione armata formata dal Regno Unito, dagli Stati Uniti d’America e dalla Francia. Nell’est del paese e in Siberia, alla Legione cecoslovacca guidata da Tomáš Masaryk (già parte dell’esercito zarista), si aggiungevano truppe giapponesi, sbarchi dalle navi inglesi, e a inizio estate anche contingenti statunitensi e italiani giunsero a Vladivostok per combattere la rivoluzione.

I “rossi” ottennero la vittoria finale nel conflitto solo nel 1922, liquidando le forze controrivoluzionarie e instaurando il loro potere. Nel valutare la durezza che assunse in quegli anni la nascente rivoluzione non si può dunque sottovalutare che essa dovette subito misurarsi non solo con la fame e i disastri indotti dalla guerra e con l’opposizione delle classi reazionarie russe espropriate del loro potere ma anche con una sanguinosa guerra civile e con l’aggressione straniera.

In questo contesto vennero condotte le trattative per l’unificazione delle Repubbliche sovietiche Russa, UcrainaBielorussa e Transacaucasica e la creazione dell’Unione Sovietica, che venne ratificata il 30 dicembre 1922 dall’assemblea del I Congresso dei Soviet dell’URSS, riunitosi a Mosca.

Aveva preso così vita il primo stato socialista della storia (dopo la breve parentesi della Comune di Parigi, 18 marzo-28 maggio 1871, repressa nel sangue), e questo fatto fu accolto con grandi entusiasmi e speranze dal movimento operaio di tutto il mondo.

In Italia, un giovane Gramsci salutò l’Ottobre con un articolo intitolato «La rivoluzione contro Il Capitale», con ciò polemizzando contro chi aveva dato di quel libro e del marxismo una lettura economicistica e deterministica, secondo la quale non sarebbe stata possibile alcuna rivoluzione socialista nella Russia arretrata prima di un adeguato sviluppo dello “stadio capitalistico”, dell’industria russa (e dunque della classe operaia).

Tornando sull’argomento dal carcere, Gramsci – che fu sempre schierato senza riserve con l’URSS e la III Internazionale Comunista (Comintern) –, approfondì le differenze che avrebbero dovuto segnare la rivoluzione nei Paesi dell’Europa capitalistica, con processi necessariamente assai diversi da quelli russi. In “Oriente” (leggi: Russia) lo Stato era tutto e la società civile era fragile e “gelatinosa”, al contrario in “Occidente” (leggi: Europa ed Italia) la società civile è articolata e complessa, e la conquista rivoluzionaria del potere deve prevedere un processo di progressiva conquista egemonica delle “casematte” in cui la società civile si articola. Alla “guerra di movimento” della Rivoluzione russa deve dunque sostituirsi da noi una “guerra di posizione”:

“Mi pare che Ilici2 aveva compreso che occorreva un mutamento dalla guerra manovrata, applicata vittoriosamente in Oriente nel 17, alla guerra di posizione che era la sola possibile in Occidente, […]

Solo che Ilici non ebbe il tempo di approfondire la sua formula, pur tenendo conto che egli poteva approfondirla solo teoricamente, mentre il compito fondamentale era nazionale, cioè domandava una ricognizione del terreno e una fissazione degli elementi di trincea e di fortezza rappresentati dagli elementi di società civile ecc. In Oriente lo Stato era tutto, la società civile era primordiale e gelatinosa; nell’Occidente tra Stato e società civile c’era un giusto rapporto e nel tremolìo dello Stato si scorgeva subito una robusta struttura della società civile. Lo Stato era solo una trincea avanzata, dietro cui stava una robusta catena di fortezze e di casematte; più o meno, da Stato a Stato, si capisce, ma questo appunto domandava un’accurata ricognizione di carattere nazionale.”3

Era il prezioso embrione di una nuova teoria delle Rivoluzione in Occidente, e altresì di quella che diverrà “la via italiana al socialismo”.

Ma questa originale proposta teorica di Gramsci non sembra sia stata finora adeguatamente seguita e sviluppata dai suoi eredi.


1 Per questo la rivoluzione russa è nota come la “Rivoluzione d’Ottobre”, anche se essa ebbe luogo il 7 novembre, data in cui viene celebrata in Occidente.

2 “Ilici” sta per Lenin, che Gramsci non può nominare per la censura carceraria.

3 A. Gramsci, Quaderno 7, par.16, (vol. I, p. 866 dell’edizione Gerratana, Einaudi, 1975).