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La prima guerra mondiale ’14-’18 (definita dai contemporanei “la grande guerra”, prima che si vedessero le dimensioni ancora peggiori della seconda guerra mondiale) vide schierate da una parte Francia, Inghilterra, Russia, Serbia, poi dal maggio 1915 l’Italia e dall’aprile del 1917 anche gli Stati Uniti, e dall’altra parte la Germania, l’Impero austro-ungarico, l’Impero ottomano e il Regno di Bulgaria.
La guerra segna la fine dell’egemonia storica della borghesia; è considerata la fine della cosiddetta “belle époque”, e non a caso il grande storico marxista Hobsbwam fa iniziare dal 1914 ciò che egli definisce “il secolo breve” che si sarebbe concluso nel 1989 con la fine del socialismo nell’Europa dell’Est e in URSS.
Cosa provocò la guerra? Al di là del pretesto (l’attentato dell’erede al trono degli Asburgo da parte di un indipendentista serbo) si trattò dell’inevitabile urto fra le potenze del tempo, in particolare Francia-Inghilterra e Germania, che ambivano al potere sul mondo anche in base all’espansione coloniale del proprio dominio, che le portava a una inevitabile collisione.
L’Africa nel 1914 e nel 1939
Fonte: Wikipedia
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La borghesia capitalistica, la casta militare e in particolare le potenti industrie legate alle fabbricazioni necessarie alla guerra (armi, navi, carri, etc.), si schierarono in tutta Europa a favore del conflitto.
Come il movimento operaio del tempo aveva analizzato (Luxemburg, Lenin, etc.) erano i sovraprofitti legati all’imperialismo che permettevano alla borghesia margini di consenso per il capitalismo e la corruzione del proletariato metropolitano. Non a caso la socialdemocrazia tedesca (il “partito-guida” del tempo, che derivava il suo prestigio non solo da Marx e da Engels ma anche dalla grande forza del sindacato e della rappresentanza parlamentare) votò a favore dei crediti di guerra nel Parlamento tedesco. Fu la bancarotta della socialdemocrazia, della cosiddetta II Internazionale.
Il socialista francese Jean Jaurès, che aveva tentato di dare vita a un movimento pacifista comune fra il proletariato francese e quello tedesco, fu assassinato il 31 luglio 1914, alla vigilia della mobilitazione che diede il via alla guerra.
Di straordinaria importanza appare oggi il fatto che alla guerra, nonostante la campagna forsennata che l’accompagnava, seppero opporsi le donne, le anticipatrici del movimento femminista.
Al primo Congresso Internazionale delle donne per la pace (che si tenne a l’Aja in piena guerra, dal 28 aprile al 1 maggio del 1915) parteciparono alcune centinaia di delegate e più di duemila partecipanti provenienti (si noti) sia dai Paesi belligeranti che da quelli neutrali. La loro coraggiosa opposizione alla guerra fu condannata, nascosta e ridicolizzata dalla stampa e dalla politica del tempo, ed è colpevolmente dimenticata ai giorni nostri1.
Il Partito Socialista Italiano si rifugiò nella vuota parola d’ordine “Né aderire né sabotare”.
In Italia, che restava all’inizio estranea alla guerra anche per la “Triplice Alleanza” che la legava a Germania ed Austria, si scatenarono le forze dell’”interventismo”. Con l’appoggio del re Savoia, il Governo esitante fu travolto dalla campagna interventista. Un fiume di retorica patriottarda, alimentata dal poeta D’Annunzio, da Prezzolini, da Soffici, da Papini (che fu riformato per miopia), dal “Corriere della Sera”, dai nazionalisti come Corradini, Federzoni, Rocco etc., coinvolse in primo luogo i settori della piccola borghesia e gli studenti. Il futurista Marinetti scrisse:
Noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo – il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore del liberatore, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna ‘sottomessa e timorata’.
Ma non mancarono gli interventisti democratici, come Salvemini e come Bissolati. Mussolini, al tempo socialista e direttore dell’”Avanti!”, ricevette un cospicuo finanziamento (sembra dalla massoneria anglo-francese, oltre che dagli industriali italiani) e fondò il quotidiano “Il Popolo d’Italia”, schierandosi per la guerra.
Nel grande massacro di proletari non sarebbero stati i fabbricanti d’armi né i D’Annunzio né i Marinetti a morire.
1 Cfr. P. Paesano, https://left.it/2022/08/03/storie-di-donne-contro-la-guerra-sulle-orme-di-rosa-luxemburg/ .