Nel maggio del 1970 il Parlamento vara lo Statuto dei diritti dei lavoratori, pietra miliare del nuovo diritto del lavoro, frutto della straordinaria stagione di lotte inaugurata dal contratto dei metalmeccanici del 1969 che aveva anticipato molte delle conquiste a cui lo Statuto darà forza di legge.
Tuttavia le lotte non si fermano e le forme originali di rappresentanza operaia compiono un ulteriore salto, un inedito assoluto nel sindacalismo continentale, attraverso la costituzione dei “Consigli di fabbrica”, direttamente eletti dai lavoratori, che divengono co-titolari della contrattazione aziendale, non più solo prerogativa del sindacato esterno.
Si aprono ovunque vertenze di fabbrica, il numero delle lotte e degli scioperi aumenta esponenzialmente. È una vera e propria rivolta di massa contro la durezza estrema del padronato che arrivava a non rispettare nemmeno i diritti sindacali minimi: orari di lavoro che superavano le 12 ore giornaliere, assenza di buste paga e di tutele per gli infortuni, arbitrarietà della retribuzione, impossibilità di tenere assemblee sindacali e di scioperare, licenziamenti arbitrari per motivi politici, mentre gli infortuni sul lavoro erano all’ordine del giorno.
Materiali: Sergio Zavoli, La notte della Repubblica
Sessantotto e autunno caldo, La notte della Repubblica di Sergio Zavoli disponibile su RaiPlay.
Non si tratta più soltanto di rivendicazioni salariali, cominciava anche un’elaborazione avanzata su temi come la difesa della salute in fabbrica, gli orari, l’organizzazione del lavoro, l’inquadramento professionale. La maturazione di un processo di soggettivazione operaia spinge quasi naturalmente verso la conquista di spazi di partecipazione più ampi, la nascita dei “Consigli di zona” come prolungamento sul territorio dei “Consigli di fabbrica”.
Le rivendicazioni diventano direttamente politiche, con la rivendicazione di interventi pubblici sui temi della casa e dei servizi sociali essenziali.
La rivolta operaia scuote nel profondo i rapporti di forza dentro i luoghi di lavoro e i padroni reagiscono. I padroni siderurgici bresciani, ad esempio, con solidi legami con il “marcio di Salò”, rispondono con ferocia non concedendo trattative, rispondendo agli scioperi con la serrata e assumendo come spie in fabbrica e come provocatori elementi fascisti (famoso il caso del terrorista di “Avanguardia Nazionale”, Kim Borromeo, assunto dall’Idra di Pasotti e poi cacciato dagli operai).
Fuori dalle fabbriche e dalle scuole, i fascisti servono invece ad aggredire gli studenti e i militanti della sinistra. Non si contano più le aggressioni e gli attentati alle sedi dei partiti di sinistra e dei sindacati.
Si tratta dei prodromi di ciò che di lì a poco , il 28 maggio 1974, porterà alla strage di Piazza della Loggia a Brescia.
Materiali: Interviste di Sergio Zavoli a Vinciguerra
- Le stragi di piazza Loggia e dell’Italicus, La notte della Repubblica di Sergio Zavoli disponibile su RaiPlay.
Ecco un brano tratto dalla sentenza del giudice Zorzi all’ultimo processo sulla strage di Piazza della Loggia. Zorzi denuncia l’esistenza di un meccanismo “che fa letteralmente venire i brividi, soprattutto di rabbia, in quanto è la riprova, se mai ve ne fosse bisogno, dell’esistenza e costante operatività di una rete di protezione pronta a scattare in qualunque momento e in qualunque luogo”.
Materiali: Anche la strage di Brescia porta alla base Nato di Verona
Articolo pubblicato sul giornale comunista online “Contropiano“.
Nelle motivazioni della sentenza si possono leggere queste drammatiche parole, sufficienti a spiegare quali forze si sono mosse per nascondere la verità sotto una colata di cemento:
“Lo studio dello sterminato numero di atti che compongono il fascicolo dibattimentale porta ad affermare che anche questo processo, come altri in materia di stragi, è emblematico dell’opera sotterranea portata avanti con pervicacia da quel coacervo di forze individuabili con certezza in una parte non irrilevante degli apparati di sicurezza dello Stato, nelle centrali occulte di potere che hanno prima incoraggiato e supportato lo sviluppo dei progetti eversivi della destra estrema e hanno sviato, poi, l’intervento della magistratura, di fatto rendendo impossibile la ricostruzione dell’intera rete di responsabilità. Il risultato è stato devastante per la dignità stessa dello Stato e della sua irrinunciabile funzione di tutela delle istituzioni democratiche, visto che sono solo un leader ultraottantenne e un non più giovane informatore dei servizi, a sedere oggi, a distanza di 41 anni dalla strage sul banco degli imputati, mentre altri, parimente responsabili, hanno da tempo lasciato questo mondo o anche solo questo Paese, ponendo una pietra tombale sui troppi intrecci che hanno connotato la mala-vita, anche istituzionale, dell’epoca delle bombe”.