2.4 Il luglio ’60

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La formula centrista, di fatto in crisi dopo la sconfitta della legge-truffa, è totalmente esaurita alla fine degli anni ’50. Si intrecciano i primi timidi segni di distensione fra USA e URSS, le prime aperture nella Chiesa cattolica, i mutamenti indotti dal “miracolo economico”, la enorme migrazione interna da sud a nord, la modificazione della classe operaia, base per la ripresa della conflittualità. L’esaurimento della formula centrista corrisponde a un parziale avvicinamento tra DC e PSI, con forte dibattito interno, nella prospettiva del centro-sinistra.

Nel marzo 1960 il governo monocolore DC guidato da Fernando Tambroni (1901-1963) ottiene in Parlamento una fiducia risicata, grazie ai voti determinanti del Movimento Sociale Italiano. Alcuni ministri si dimettono, ma il governo viene rinviato dal Presidente della Repubblica Gronchi al Senato, dove, ancora, sono determinanti i voti dell’estrema destra.

L’esecutivo Tambroni si caratterizza per anticomunismo, integrismo cristiano, scelte populistiche e per la legittimazione del MSI, che convoca il suo congresso nazionale dal 2 al 4 luglio, a Genova.

La scelta di Genova (città Medaglia d’oro della Resistenza, che si liberò dai nazifascisti ad opera dei partigiani), del luogo del congresso (un teatro accanto al sacrario dei partigiani caduti), della presidenza del congresso (affidata a Carlo Emanuele Basile, prefetto della città durante la Repubblica di Salò e autore di rastrellamenti e deportazioni nei lager) equivalgono a una provocazione verso tutto l’antifascismo.

La risposta è immediata: il 2 giugno, anniversario della Repubblica, si svolge a Genova una manifestazione partigiana con Umberto Terracini, il 15 si registrano scaramucce nel centro storico, il 19 la folla impedisce l’inaugurazione di una sede del MSI a Chiavari, il 25 si svolge un corteo alla Casa dello studente, già sede del comando nazista e luogo di tortura.

Nel pomeriggio, si tiene un comizio dei movimenti giovanili, a cui segue un corteo non autorizzato per portare fiori al sacrario della Resistenza: scontri con la polizia. Si intrecciano antifascismo e disagio giovanile, elementi che caratterizzeranno quelle giornate, ma anche gli anni seguenti.

Foto in bianco e nero degli scontri in Piazza De Ferrari a Genova. Nell'immagine sono presenti persone che corrono e lanciano oggetti, è presente fumo bianco che invade parte della scena.
Gli scontri in Piazza De Ferrari a Genova, via Wikipedia.

Il 28 giugno si tiene un comizio unitario antifascista, con Sandro Pertini che infiamma la folla indicando polemicamente alla polizia i “sobillatori”: sono i partigiani caduti.

Il 30 giugno un enorme corteo si svolge nel centro della città. Al termine cariche della polizia. Il questore è Lutri, già funzionario del regime fascista a Torino. Il prefetto Pianese sequestra il manifesto del Consiglio federativo della Resistenza.

Al termine del corteo, la celere carica. La piazza risponde. Stupisce la grande presenza di giovani, descritti per l’abbigliamento (“i ragazzi con le magliette a strisce”). La battaglia continua per l’intera giornata e termina solo a notte, con il ritiro della polizia.

La città non viveva uno scontro simile dal luglio 1948 (nei giorni che seguirono l’attentato a Togliatti). Alla dimensione antifascista si sommano spinte insurrezionalistiche mai sopite e la rabbia di una classe operaia ridimensionata, colpita ed umiliata. Il 2 luglio la Camera del Lavoro proclama lo sciopero generale.

Solo nella notte del 2 luglio il prefetto comunica che il Congresso neo-fascista non si svolgerà. Una grande assemblea con Ferruccio Parri ribadisce la richiesta di messa fuori legge del MSI.

Il 5 luglio, nel dibattito parlamentare, il ministro DC Spataro definisce “facinorosi” i manifestanti.

Lo stesso giorno, a Licata, in Sicilia, la polizia spara contro un corteo: un morto.

Il 6 a Roma, un corteo antifascista viene provocatoriamente proibito dal prefetto a poche ore dal suo svolgimento. I manifestanti, protetti da un cordone di parlamentari d’opposizione, decidono di dirigersi ugualmente a Porta San Paolo (il luogo simbolo dell’inizio della Resistenza), per deporre una corona d’alloro in memoria dei caduti della Resistenza.

Si assiste alla carica contro i manifestanti della polizia a cavallo (la guidano i fratelli D’Inzeo, campioni di equitazione). Si registra un particolare accanimento contro i parlamentari di opposizione presenti (due parlamentari, il comunista Ingrao e il socialista Borghese, vengono feriti e portati alla Camera ancora sanguinanti, scatenando fortissime proteste). Gli scontri si estendono al vicino quartiere popolare del Testaccio.

Il 7 la strage di Reggio Emilia: la polizia carica contro un comizio: in piazza della Libertà cadono uccisi cinque giovani (il minore ha 19 anni). Una famosa canzone legherà il loro sacrifico a quello della generazione partigiana:

Son morti sui vent’anni per il nostro domani, son morti come vecchi partigiani“.[1]

In totale i compagni uccisi nelle manifestazioni del Luglio ’60 saranno undici.

Morti di Reggio Emilia, Fausto Amodei.

Il giorno successivo è proclamato uno sciopero generale, ma la violenza della polizia continua provocando quattro morti in Sicilia, uno a Catania e tre a Palermo, dove incide molto la questione sociale, in particolare la disoccupazione.

Tambroni alza i toni, difende l’operato della polizia, minaccia colpi di coda, ipotizza l’intervento diretto dei cittadini “se lo Stato non farà la sua parte”, ma dopo giorni tesissimi, il 19 luglio deve dimettersi. I partiti laici si sono dichiarati disponibili ad appoggiare un governo monocolore DC che rinunci ai voti missini. Nasce un ministero presieduto dal DC Amintore Fanfani (1908-1999).

Intanto Moro cautamente tesse la tela per arrivare al primo esecutivo di centro-sinistra. Il PSI guarda con attenzione, e il PCI dichiara una opposizione “combattiva, vivace”, ma capace di cogliere elementi di novità e di cambiamento.

Il giugno-luglio 1960 segna, quindi, uno spartiacque: si arresta il processo di legittimazione del MSI; la destra cattolica e DC subiscono uno scacco; PSI e PCI, pur uniti contro Tambroni, vedono divaricarsi le rispettive prospettive, il primo procedendo verso il centro-sinistra, il secondo dimostrando attenzione, ma vedendo incrinarsi i rapporti unitari.

La spinta popolare, inattesa, è solamente antifascista o presuppone anche una ribellione contro il rapporto subordinato di lavoro? La domanda è al centro del numero speciale di “Rinascita” (agosto 1960).

Se l’editoriale di Togliatti e gli scritti di Amendola e Parri interpretano i fatti come strumento della causa democratica, antifascista e volàno per spostamenti negli equilibri politici, Vittorio Foa lega la protesta alle nuove domande operaie che investono anche i rapporti di classe, il legame fra sindacato e giovani.

Queste giornate sono, quindi, cerniera tra l’antifascismo e il maturare di una coscienza anticapitalistica che sembra anticipare la stagione di fine anni ’60.

Per saperne di più


  • Anton Gaetano PARODI, Le giornate di Genova, Roma, Editori riuniti, 1960.
  • Francesco GANDOLFI, A Genova non si passa, Milano, Avanti, 1960.
  • Silvio MICHELI, A Genova ha vinto l’antifascismo. Nemici vecchi, unità nuova, in “Vie nuove”, 9 luglio 1960.
  • Vittorio FOA, Nuova resistenza, in “Rinascita”, agosto 1960.
  • Anton Gaetano PARODI, Le giornate di Genova, Roma, Editori riuniti, 1960.
  • Francesco GANDOLFI, A Genova non si passa, Milano, Avanti, 1960.
  • Silvio MICHELI, A Genova ha vinto l’antifascismo. Nemici vecchi, unità nuova, in “Vie nuove”, 9 luglio 1960.
  • Vittorio FOA, Nuova resistenza, in “Rinascita”, agosto 1960.

[1] Questi i nomi dei morti di Reggio Emilia e della Sicilia: Reggio Emilia: Lauro Farioli, Ovidio Franchi, Emilio Reverberi, Marino Serri, Afro Tondelli. Palermo: Francesco Vella, Andrea Gangitano, Giuseppe Malleo, Rosa La Barbera. Catania: Salvatore Novembre.